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Il mestiere dell’HR nell’era digitale: tecnologie e nuove competenze

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Nove aziende italiane su 10 cercano profili digitali, ma solo tre investono sullo sviluppo delle relative competenze. Una ricerca condotta da EY, IAB & Spencer Stuart sulle competenze del futuro fotografa una realtà in cui è ancora forte il gap digitale rispetto agli altri Paesi europei. La mancanza di abilità specifiche e di progettualità orientata al domani impatta soprattutto sulla professione HR, coinvolta in prima persona nella ricerca e nella selezione di talenti. Anche digitali.

Per stare al passo con i tempi, anche le Risorse Umane devono diventare 4.0. Superando l’idea secondo cui la tecnologia ridurrà nel tempo i posti di lavoro e investendo invece nelle nuove opportunità offerte dalla trasformazione già in atto.

“Quello che scomparirà non sono le high skill, le competenze di alto livello, ma quelle di routine”, spiega la professoressa Giuditta Alessandrini, Docente di Pedagogia sociale e del lavoro all’Università Roma Tre. Intervenendo al convegno Il mestiere HR nell’era digitale: processi smart per la misura e lo sviluppo delle competenze, organizzato a Roma da Ideamanagement Human Capital in collaborazione con la casa editrice ESTE, la docente sottolinea come proprio davanti a questa nuova rivoluzione delle macchine la funzione HR abbia un ruolo determinante.

“Può diventare uno spazio strategico come palestra di agency. L’agency è la capacità di attivarsi, prescindendo da un input esterno, e di sviluppare le potenzialità delle persone. Ed è importante premiare queste potenzialità, creando contesti capacitanti, come gaming e assessment, e processi di apprendimento personalizzato per motivare le persone e creare connessioni al di là dei ruoli. È sulle high skill che il mondo HR deve lavorare: il problem solving, il pensiero prospettico, il ragionamento deduttivo, la comprensione dei contesti”.

Upskilling per combattere il digital divide

Investire sulle competenze significa anche tentare di porre rimedio al digital divide. L’indice Desi (Digital Economy and Society Index) vede l’Italia al quart’ultimo posto in Europa. Secondo l’Ocse, il nostro Paese è imbrigliato in una situazione di low-skills equilibrium, un gioco al ribasso in cui le aziende chiedono minori competenze e le agenzie offrono personale sempre meno preparato. Con il risultato di avere circa 13 milioni di adulti con competenze di basso livello e il 35% del personale occupato in un settore non correlato ai propri studi e quindi non rispondente alle proprie competenze.

“L’esigenza di aggiornare e, in alcuni casi, formare le competenze del professionista HR è fondamentale per superare il gap digitale. I manager HR possono operare come facilitatori, come abilitatori della trasformazione digitale. La parola d’ordine è dunque upskilling”, continua Alessandrini.

La velocità del cambiamento è tale che tutti i sistemi aziendali devono oggi allinearsi a una nuova modalità di azione. Anche se spesso faticano ad aggiornarsi. La conferma arriva dalle risposte degli HR sul grado di digitalizzazione delle loro organizzazioni. Alla maggior parte dei professionisti il digitale appare ancora come una lenta trasformazione, pur nella consapevolezza della grande opportunità che rappresenta per le aziende.

Il recruitment è una delle aree che si sta digitalizzando di più, insieme con l’assessment, ma molte imprese finiscono per affidarsi troppo agli algoritmi a cui è demandata la preselezione dei candidati. Nella gestione amministrativa l’aiuto della tecnologia è concreto e apprezzato, perché i processi ripetitivi sono i primi a cambiare. La fase di selezione resta indietro nella corsa alla digitalizzazione: nessuno vuole ancora rinunciare al colloquio, sebbene le analisi gli attribuiscano una validità predittiva pari allo 0,2%.

Assessment di competenze e processi di mappatura interna diventano sempre più online e più veloci. “Le cose cambiano rapidamente ed è necessario cambiare anche il lanternino con cui i professionisti HR cercano le persone, come il filosofo greco Diogene cercava l’uomo”, sostiene Gianfranco Vercellone, Senior Partner di Ideamanagement. “I lanternini ancora in uso sono spesso lenti, poco efficaci, difficilmente gestibili e troppo costosi. Occorre cambiare la strumentazione: il digital HR è un HR che ha gli strumenti per operare con più sicurezza e professionalità la sua ricerca”.

Nuovi strumenti e abilità per il professionista HR

Oggi i moderni ‘lanternini 4.0’ sono i più innovativi tool di assessment, come quelli sperimentati dai partecipanti al convegno nel corso di un business game. Mettere alla prova gli strumenti più innovativi permette di riflettere sulle capacità richieste a un buon HR: non solo quelle intellettivo-cognitive, come il problem solving e il pensiero prospettico, ma anche le abilità relazionali (comunicazione, team working, people management) ed emotive (gestione dello stress e delle incertezze).

“La vera domanda è se le organizzazioni sono pronte a investire nella professionalizzazione degli HR”, puntualizza Angela Gallo, Presidente di Ideamanagement. “Spesso coloro che svolgono la funzione HR sono trattati come la Cenerentola dell’organizzazione: si occupano di tutti, ma nessuno si occupa di loro. Al contrario, abbiamo bisogno di HR ancora più preparati, per poter gestire la complessità quotidiana”.

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