Il giro del lavoro in 180 giorni – Le dinamiche del ‘semestre precario’

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di Livio Macchioro

Il giro del lavoro in 180 giorni 2Premessa anagrafica
Quanto segue dev’essere letto tenendo conto che ho 58 anni. Parte delle considerazioni che seguono penso valgano per il lavoro precario a prescindere dall’età. Altre probabilmente sono meno applicabili al lavoro precario giovanile, soprattutto per quanto attiene alle problematiche degli obiettivi lavorativi strategici. D’altra parte, in tempi di crisi, –quando spesso diventa importante la componente ‘sopravvivenza’– anche in questo campo le posizioni, probabilmente, si avvicinano.

Un semestre di lavoro a termine oggi
Eccomi qua, col mio contratto a progetto che scade a dicembre. Una condizione lussuosa: ho infatti a disposizione ben 6 mesi pagati per cercare il prossimo lavoro. Ai tempi d’oro del mercato del lavoro –diciamo tra gli anni ’60 e gli anni ’80– quando si cambiava azienda ti davano 6 mesi per ambientarti, formarti, e diventare produttivo. Un periodo nel quale –nonostante la veste formale del periodo di prova– non si era sottoposti a valutazione di obiettivi. Oggi, nel lavoro a termine, devi produrre subito e in più devi cercarti la prossima azienda, entro i 6 mesi del contratto.

Due dinamiche incrociate Nel ‘semestre precario’ devono convivere, dialetticamente, due dinamiche strutturali di contenuto opposto e tendenzialmente inconciliabili: la tensione a dare il massimo nell’attuale lavoro, e la necessità di procurarsi, contemporaneamente, il prossimo lavoro. Ovviamente è impossibile allocare contemporaneamente il 100% delle proprie energie su entrambi gli obiettivi; essi, tra l’altro, comportano posizioni mentali e psicologiche completamente differenti. Nella pratica, queste due aree di obiettivo si sviluppano –nell’arco del semestre precario– in modo complementare. È un gioco a somma zero, nel quale inizialmente ci si concentra sull’azienda attuale e, progressivamente, l’attenzione si sposta sul lavoro futuro. Credo sia una dinamica inevitabile: il nostro compito consiste nel renderla efficiente al massimo, controllando soprattutto le inevitabili derive inconsce. Provo a rappresentare graficamente questa dinamica di ‘coperta corta’ e ‘piedi in due scarpe mentali’. Nei primi mesi bisogna concentrare le energie sul lavoro presente. Il punto chiave è a metà percorso: dopo i primi tre mesi occorre capire dove indirizzare gli sforzi successivi: continuità con l’azienda attuale oppure discontinuità? Mi si dirà che questa dialettica è propria di qualsiasi condizione lavorativa: investire sul lavoro presente (altrimenti sei tu stesso a pregiudicarne la potenziale continuità) e contemporaneamente pensare a quello futuro. Problema che ha trovato la sua consacrazione nel celebre ‘Ce l’hai il paracadute?’. Tuttavia il ‘semestre precario’ accentua enormemente questa tensione perché occorre massimizzare in un tempo brevissimo entrambi gli sforzi.
In questo caso, si potrebbe dire, il problema è costruirsi un paracadute mentre già si sta cadendo. In genere non emergono segnali forti. L’azienda ‘a termine’ certamente non si scopre. Si cerca di ‘sondare’ ma l’azienda attuale non ha alcun motivo per forzare i tempi. A meno che non si sia già in grado di calare l’asso di un’alternativa che ci troviamo già in mano. Spesso il periodo di lavoro a termine è un percorso cieco. A un certo punto bisogna decidersi, anche senza elementi forti di orientamento. Dopodiché bisogna comunque presidiare entrambi i terreni di gioco: un continuo esercizio tattico. Da che parte tirare la coperta e in quale misura? Decisione tattica giorno per giorno, anche perché i contesti sono in continua evoluzione.
Il giro del lavoro in 180 giorni 

La ricerca del prossimo lavoro
Nella ricerca del prossimo lavoro ci si muove tra i consueti estremi: qualunque lavoro, pur di lavorare ricerca del lavoro ‘mio’. In mezzo gioca molto anche l’obiettivo generale di vita che ci si propone, compreso il tenore economico: elemento fortemente influenzato dalla stagione della vita in cui ci si trova.

Il prossimo lavoro potrebbe essere anche nell’azienda attuale
Se l’attuale lavoro a termine ci soddisfa, la ricerca del prossimo lavoro deve considerare anche l’ipotesi di una prosecuzione con l’attuale azienda qualora, in sede di assunzione, sia stato lasciato aperto uno spiraglio più o meno definito. Dopodiché ci si muove su un terreno incerto e privo di segnali forti. È fondamentale evitare di cadere nell’illusione di un rinnovo sicuro, magari alla luce di ciò che vediamo –dell’azienda– nell’ambito del nostro lavoro. Ci può sembrare impossibile che l’Azienda non veda la necessità di proseguire il progetto che ci ha affidato per 6 mesi. Ricordarsi che l’Azienda non pensa con la nostra testa, e talvolta nemmeno pensa. Per farla breve, bisogna comportarsi nello stesso modo ci si applica ad un’azienda per la prima volta.

Dinamiche collaterali
Esistono fattori esterni –ciclici– che condizionano lo sforzo di ricerca del ‘prossimo lavoro’. L’elastico psicologico inconscio Nel momento in cui inizi un nuovo lavoro, a maggior ragione se in ambiente aziendale organizzato, cala inevitabilmente la tensione. Dopo l’enorme sforzo di conquistarti l’attuale ‘slot’ lavorativo, ti godi la tranquillità, l’ordine delle cose. D’altra parte ci si deve rilassare, ad un certo punto. Difficile mantenere la tensione ad aggredire subito, nuovamente, il mercato del lavoro. Si potrebbe anche chiamare ‘Sindrome degli ozii di Capua’. La stagionalità amministrativa e fiscale Altro fattore: i ‘cicli amministrativi annuali’. Devi concentrarti sul mantenimento e/o la ricerca del lavoro nel periodo in cui non sei bombardato di scadenze amministrative e fiscali (a maggior ragione, se partita IVA). Infine ci sono i cicli del mercato del lavoro. È un fatto che i periodi di ‘caccia al lavoro’ sono febbraio-giugno e settembre-novembre. Insomma, questi tre elastici sono, in genere, completamente sfasati e confliggenti. Complicazione ulteriore: si tratta di tre cicli completamente sfasati tra di loro. Insomma: il lavoro precario è un lavoro stagionale influenzato, per di più, da una molteplicità di differenti ‘stagioni’.

Appendice anagrafica: vantaggi e svantaggi dell’eta’
Alla mia età gli aspetti tecnici del lavoro precario sono più pesanti rispetto ai giovani: molto più veloci sulle tecnologie e sulle attività standardizzate. Per contro, il 58enne precario non è più coinvolto nella competizione aziendale, è fuori dai giochi di potere; ha più esperienza per gestire i contesti stressanti. Certo: tutto dipende, alla fine, dagli obiettivi che ci si prefigge. Occorre cercare realisticamente la misura di compito adeguata alla propria attuale condizione complessiva, personale e di mercato. È un dato di fatto, comunque, che, a fronte di 4 milioni e mezzo di disoccupati e ‘scoraggiati’, sono, tutto sommato, ancora in pista. Merito mio? Tutte le considerazioni precedenti non starebbero in piedi senza un ultimo fattore. Se lo tacessi non renderei testimonianza alla verità. Quello che di buono riesco ancora a fare è soprattutto un dono della Provvidenza, che domando continuamente. Lo dico con la laicità che credo di aver sempre dimostrato su queste pagine. Vuol dire, allora, intimismo? fatalismo? passività? Qualcuno ha detto: fare come se tutto dipendesse da noi sapendo che nulla dipende da noi. 

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