francesco varanini

Il ‘gioco’ della formazione

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Non credo che l’Intelligenza Artificiale vada accettata a partire dal fatto che qualche tecnico si diverte a vedere cosa succede giocando con l’innovazione. Questo atteggiamento di tecnici ed esperti –lasciateci giocare e poi adattatevi– va combattuto. Il problema è che, come scrive giustamente Anja Puntari, questi tecnici vengono da una scuola che li ha fuorviati: “Un percorso scolastico fortemente cognitivo e mnemonico”.

Il modello è ‘imparare e ripetere’ e ‘premiare e punire’: “Abbiamo imparato che esiste un modo giusto, una risposta giusta e miriamo con i nostri comportamenti a quello”. Essendo stati educati così, finiamo per progettare macchine che crediamo imitino il meglio dell’essere umano e invece sono macchine che, se mai arriveranno a ragionare in proprio, ragioneranno in base al principio di ‘imparare e ripetere’ e al principio di ‘premiare punire’.

Macchine che pretendono di fornire la ‘risposta giusta’. Siamo –noi che leggiamo e scriviamo Persone&Conoscenze– esseri umani, capaci, per nostra fortuna, di provare, continua Puntari, “una varietà di sentimenti, dalla vergogna al dolore, dall’ansia alla paura”. E questo è uguale per tutti noi: giovani e anziani, appartenenti a una generazione denominata in un modo o in un altro.

Non credo che coloro che appartengono alla generazione nata quando già erano cose comuni e di uso quotidiano computer e telefoni cellulari sappiano usare questi strumenti con più consapevolezza di chi ha studiato sui libri, ha digitato su una tastiera e si è specchiato in uno schermo solo da adulto. Tutti, qualche sia la nostra età, dobbiamo affrontare il difficile adattamento a un nuovo scenario tecnologico. L’adattamento consiste sia nel far propria la tecnologia sia, anche, nell’imparare a difendersene.

Non credo, in generale, che le macchine ci aiutino a essere più umani. Così come non credo nemmeno che le tecnologie possano migliorare più di tanto formazione e apprendimento. L’uomo, nel corso della Storia, è stato sostenuto nel suo formarsi e apprendere da diverse tecnologie –l’aula, il libro– e ne arrivano oggi di nuove.

Ma forse, più che di queste, ci giova, come ricorda Mauro De Martini, una passeggiata in un bosco: lasciamo che le macchine facciano la propria strada, dunque, accettiamo che occupino i propri spazi, ma preoccupiamoci intanto di coltivare noi stessi, tramite, come scrive De Martini, “l’ascolto del mondo circostante e di quello interiore”.

Più che adattarci alle macchine che ci circondano, ci conviene –cito ancora De Martini–essere noi stessi, e cioè “essere creativi, riposare, riflettere, elaborare, prendere il piacere, fare l’amore, stare soli, semplicemente ‘stare’ con gli altri, esserci prescindendo dalla connessione totale”.

A questo spero serva la nostra rivista: a concedere a ognuno di noi, anche restando all’interno del tempo dedicato al lavoro, una pausa, un cambiamento di ritmo, un momento per riposare e riflettere. Per pensare. Spesso siamo portati a pensare ciò che macchine progettate proprio per questo ci spingono a pensare, o siamo spinti dalla fretta e dall’abitudine a sintetizzare il nostro stesso pensiero in modo riduttivo, cadendo spesso in luoghi comuni; dimenticando ciò che noi stessi sappiamo.

La formazione è innanzitutto aiuto a recuperare il rapporto con noi stessi. Solo essendo consapevoli di chi siamo, di cosa stiamo facendo, solo se siamo in sintonia con il nostro desiderio, il piacere, le emozioni, potremo poi essere cittadini e lavoratori, e cioè persone che stanno in relazione con altri esseri umani.

Questo è il tema che abbiamo posto al centro dell’attenzione a Roma, a marzo 2018, nell’evento Formare e Formarsi, uno dei cicli di incontri legati alla nostra rivista. Il titolo era: In cerca di consapevolezza. Abbiamo proseguito con l’edizione milanese di Formare e Formarsi, il cui titolo è Coltivare il piacere di apprendere.

Non c’è apprendimento senza piacere. Se non entrano in gioco le emozioni e i desideri della persona gli esiti di qualsiasi attività formativa resteranno superficiali. Quindi converrà far sempre riferimento alle situazioni in cui apprendiamo a fare qualcosa che ci piace. Ci sono attività che releghiamo nel privato, che banalizziamo come hobby.

Ma dovremmo sempre ricordare che nell’apprendere a svolgere quelle attività è in gioco il nostro piacere. Solo riattivando quello stesso piacere potremo imparare veramente; imparare anche ciò è funzionale al lavoro per il quale siamo remunerati. I bambini apprendono di più giocando che non a scuola perché sottoposti a un obbligo scolastico.

Questo è il vero senso della gamification: non si impara perché si usa uno strumento o un altro; si impara se si è riportata alla luce, da adulti, la propria capacità di giocare.


Francesco Varanini

Francesco Varanini ha lavorato per quattro anni in America Latina come antropologo. Quindi per quasi quindici anni presso una grande azienda, dove ha ricoperto posizioni di responsabilità nell’area del personale, dell’organizzazione, dell’Information Technology e del marketing. Successivamente è stato co-fondatore e amministratore delegato del settimanale Internazionale. Da oltre 20 anni è consulente e formatore, si occupa in particolar modo di cambiamento culturale e tecnologico. Ha insegnato per dodici anni presso il corso di laurea in Informatica Umanistica dell’Università di Pisa. Attualmente tiene cicli di seminari presso l’Università di Udine. Nel 2004, presso la casa editrice Este, ha fondato la rivista Persone & Conoscenze, che tuttora dirige. Tra i suoi libri, ricordiamo Romanzi per i manager, Il Principe di Condé (edizione Este), Macchine per pensare.

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