Il formatore Senza Macchia e Senza Paura. Una parabola
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di Enzo Nardini
Come intervenire in un’organizzazione con un percorso formativo che coniughi risultati tangibili e benessere per le persone? Da dove partire e a chi indirizzare la formazione per portare efficienza e innovazione in azienda? Obiettivo del formatore è aiutare i partecipanti a lavorare meglio, incidendo così concretamente sull’organizzazione. La disponibilità degli attori coinvolti a mettersi in gioco è dunque fondamentale. Ma, spesso, riuscire ad arrivare al cuore del problema può essere difficoltoso: da dove progettare il cambiamento per preparare il terreno futuro? Nel breve racconto che proponiamo troveremo interessanti spunti di riflessione.
Dopo uno degli innumerevoli traslochi che hanno costellato la mia vita professionale, ho trovato, abbandonato nell’angolo di un armadietto, uno scritto dal titolo curioso: “Il formatore senza macchia e senza paura”. La lettura mi è parsa interessante se non addirittura, a tratti, avvincente. Ho quindi pensato di proporla pari pari ai nostri lettori, con qualche mio commento finale.
L’entusiasmo degli inizi
C’era una volta un formatore Senza Macchia e Senza Paura (in sigla SMESP)1. Era un ragazzo giovane, pieno di idee e di entusiasmo, che da poco aveva iniziato a lavorare nel settore formazione della Banca XY. Aveva studiato a fondo l’economia e la psicologia delle organizzazioni, e si era convinto di avere una missione nella vita: aiutare le persone (nella fattispecie, i bancari) a lavorare meglio e, nel contempo, a trarre piacere da ciò che facevano. “Perché tanta tristezza nelle organizzazioni?” si chiedeva; “Il lavoro è una cosa naturale come il gioco e, come esso, potenziale produttore di soddisfazione2; non è fattore di sofferenza e abbrutimento; è, anzi, possibilità di autorealizzazione3. Certo, in passato, nell’epoca della prima industrializzazione, tra orari pesanti, fatica fisica e organizzazione scientifica del lavoro4, non era così; oggi, però, nell’era della conoscenza e della società affluente, il lavoro non assomiglia per nulla alla maledizione biblica del pane da guadagnare col sudore della fronte, né tantomeno allo sfruttamento del proletariato (con alienazione conseguente) descritto da Marx. Anzi, una ricerca di Mihaly Csikszentmihaly5 pare mostrare, al di là di ogni dubbio, che le persone provano stati d’animo più soddi-sfacenti quando lavorano che quando godono del cosiddetto tempo libero (contenitore che spesso –lo può notare chiunque– non si sa neanche come riempire, ritrovandosi così frustrati e stressati6 a bighellonare –a caro prezzo– negli ipermercati). E svariate ricerche mostrano forti e convincenti correlazioni tra clima positivo, produttività, successo dell’azienda e soddisfazione della clientela. Ma allora perché queste plumbee atmosfere e questi sciocchi e gretti conflitti alla fine dei quali tutti stanno peggio (azienda, clienti, lavoratori e management)?”.
Il primo corso
Così pensava il nostro eroe SMESP, e si sentiva convinto di poter portare la scintilla capace di rischiarare le menti (forse ottenebrate da arcaici pregiudizi e da prassi di lavoro obsolete) dei partecipanti ai suoi corsi e riversare, per naturale irradiazione, positivi flussi di fiducia, benessere, innovazione ed efficienza su tutta l’organizzazione della banca, rendendola, così, capace di riuscire nel piccolo (ma mirabile) portento7 di coniugare l’inconiugabile: ritorno sull’investimento, soddisfazione per il cliente e benessere per il personale; il tutto fuso in un virtuoso intreccio. Al primo corso il suo entusiasmo e l’incontestabile qualità delle sue idee contagiarono i partecipanti che, alla fine, lo ringraziarono con calore. Uno gli disse: “Grazie! Mi hai aiutato a vedere le cose in un’altra prospettiva”. Un altro affermò: “Ho capito! Da domani cambio i miei atteggiamenti” e, un altro, ancora: “Ora sono ben più consapevole del significato dei miei comportamenti, e ne farò tesoro”. Ma poi, più o meno tutti, soggiunsero: “Però, questi corsi, dovrebbero essere fatti ai nostri capi. Sono loro che danno l’impostazione al nostro lavoro. Le cose che ci hai fatto scoprire ci torneranno certo utili in tanti contesti ma qui, in azienda, sono i capi che guidano la danza. Per incidere veramente, queste cose andrebbero fatte capire a loro”. Il nostro formatore provava emozioni contrastanti. Da un lato, si sentiva gratificato: il suo corso era stato apprezzatissimo. Dall’altro, però, aveva l’impressione di aver fatto una cosa praticamente inutile. Alla fine uscì dalla scomoda dissonanza con la convinzione che i suoi temi erano giusti e del pari giusto il modo in cui erano stati trattati; solo, andavano indirizzati da un’altra parte. Certo, si trattava di un errore non da poco, ma il corso era comunque servito per preparare il terreno per il futuro. E poi gli aveva dato l’occasione per affinare le argomentazioni da usare quando, finalmente, dall’altra parte del tavolo ci saranno i veri decision maker. Insomma il nostro formatore SMESP riuscì alla fine a provare una più che discreta soddisfazione per il lavoro svolto: alimento per la sua autostima e stimolo per le sue motivazioni.
Un trionfo
Ma mentre queste convinzioni tranquillizzanti maturavano nella sua mente il nostro formatore SMESP, grazie anche agli apprezzamenti espressi in più occasioni dai suoi allievi, fu promosso e divenne responsabile della formazione per i capi intermedi. “Ora ci sono! Qui si parrà nostra nobilitate!” pensò. “Adesso potrò veramente incidere sui meccanismi fondamentali dell’azienda”. Si preparò con grande entusiasmo. Approfondì ulteriormente le sue teorie, con particolare riferimento agli studi di Edward Deci sulla motivazione intrinseca e di W. E. Deming sulla qualità. Si lesse anche (gliene avevano parlato molto bene) Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig (bellissimo!), e si ritrovò, al primo contatto con i suoi nuovi allievi, carico come una molla. In aula, in certi momenti, sentì l’ispirazione che lo pervadeva e provò, in concreto, quello stato di grazia che aveva studiato nei libri di Csikszentmihaly8. Aveva una percezione quasi fisica dell’attenzione dei suoi partecipanti che, lo sentiva, non si lasciavano scappare nemmeno una parola di ciò che lui diceva; li vedeva impegnarsi alacremente nei sottogruppi e gli sembrava quasi, in certi momenti, di poter sentire in sottofondo il piacevole ronzio dei loro cervelli in azione. Alla fine del corso, un trionfo! Tutti lo applaudirono. Un partecipante gli disse: “Grazie! Ci hai aiutato a vedere le cose in un’altra prospettiva”. Un altro: “Da domani cambio i miei atteggiamenti” e, un altro ancora: “Ora sono ben più consapevole del significato delle cose, e ne farò tesoro”. Ma poi, più o meno tutti, soggiunsero: “Però, questi corsi, dovrebbero essere fatti ai nostri capi. Sono loro che impostano il lavoro. Le cose che ci hai fatto scoprire ci torneranno certo utili in tanti contesti, ma qui, in azienda, sono i direttori centrali che guidano. Per incidere veramente, queste cose andrebbero fatte capire a loro”.
Piacevoli sorprese
L’entusiasmo del nostro formatore sbollì alquanto. Incredibile! Ancora una volta aveva mancato la presa! Tutti contenti, d’accordo, ma il mostro capace di mutare l’oro in piombo era ancora lì, intatto. Qui, bisogna ammettere, la sua delusione fu veramente forte. Però un fatto inaspettato giunse a rincuorarlo: il direttore generale, visti anche gli apprezzamenti che molti avevano manifestato per le sue performance, gli assegnò il compito di costruire un percorso formativo per i direttori centrali. La notizia lo ringalluzzì oltremodo. “Forse finalmente ci siamo” si disse. “Eccoci arrivati al cuore del problema”. Approfondì ulteriormente i suoi temi e ne aggiunse altri, come per esempio le teorie di Richard Normann sulla qualità del servizio e la straordinaria idea della piramide rovesciata di Jan Carlzon; e anche qualche flash sul pensiero positivo di Martin Seligman gli parve utile per questo corso (visti i tipi!). Lavorò giorno e notte. Si ripassò il ‘film’ del corso più volte nella mente (esercizio raccomandatogli da un suo amico esperto di Pnl) e, finalmente, il corso ebbe luogo. Fu un avvenimento memorabile! Queste persone, che lui aveva immaginato fredde e grette, mostrarono invece, sotto una scorza all’apparenza ottusamente dura, un’apertura mentale e una disponibilità sorprendenti. Lui, il nostro formatore, riuscì a sintetizzare in modo superbo i principi fondamentali del management; ad un certo punto, gli parve fin quasi che gli spiriti di Mayo, Mc Gregor, Maslow, Herzberg e tutti quelli che hanno fatto la storia del management umanistico, sospesi in qualche angolo della stanza, lo ascoltassero attenti, annuendo sorridenti9. L’aula rispose al suo slancio con contributi creativi e dibattiti appassionati. Il corso, più che un corso, sembrava un laboratorio capace di produrre satori10a palate. Il direttore fidi, per esempio, persona da tutti considerata arcigna e scostante, propose a tutti i colleghi di passare al tu e la responsabile della contabilità, che all’entrata in aula avrebbe potuto essere facilmente scambiata per un personaggio del film Le due orfanelle11, distribuì a tutti, a fine corso, radiosi sorrisi Duchenne12. Un partecipante disse: “Grazie! Ci hai aiutato a vedere le cose in un’altra prospettiva”. Un altro: “Da domani cambio i miei atteggiamenti” e, un altro ancora: “Ora sono ben più consapevole del significato delle cose, e ne farò tesoro”. Ma tutti, poi, soggiunsero: “Però, questo corso, dovrebbero essere fatto al direttore generale. Lui imposta il nostro lavoro. Le cose che ci hai fatto scoprire ci torneranno certo utili in tanti contesti, ma qui, in azienda, c’è un muro da scalare: lui. A lui, per incidere veramente, queste cose andrebbero fatte capire”.
La stanza dei bottoni
Il godimento del nostro formatore SMESP, insomma, durò solo un attimo perché subito si sentì sprofondare nella depressione più nera. Si stampò in faccia un sorriso Pan American13 per concludere nel modo migliore possibile i rituali di fine corso e, una volta usciti tutti, si accasciò sulla sedia. Ancora una volta aveva mancato il bersaglio! Però poi si riprese14. Ma certo! Ora è chiaro! Come aveva fatto a non capirlo prima (e qui il nostro SMESP si diede mentalmente del babbeo)? Da dove inizia il cambiamento? Dalla testa. Dalla stanza dei bottoni. È ovvio! Lo dicono tutti! Come aveva fatto a non pensarci? E, comunque, soggiunse, lui in realtà non aveva sbagliato in nulla. Certo aveva iniziato il processo dal basso anziché dall’alto, ma del resto, non avrebbe avuto modo di iniziare diversamente: la credibilità, per arrivare al top, va guadagnata. Quanti, sulla base del principio che bisogna partire dall’alto, finiscono col non fare nulla (salvo lamentarsi)? Lui invece qualcosa l’aveva fatto. Certo, non aveva cambiato il corso della storia (come aveva sperato) però aveva comunque preparato il terreno. E ora, per dare la svolta, l’occasione, finalmente, c’era. E che occasione! E servita su un piatto d’argento, per giunta: il direttore, infatti, gli aveva chiesto un incontro di feed back sull’iniziativa svolta, e lì, nel metterlo al corrente dei temi trattati, la possibilità di entrare a fondo nella problematica e stimolarlo all’azione, non potrà mancare. “Ah, ora sì che si arriva al punto!” esclamò il formatore SMESP, passando di botto dalla semidepressione alla semiesaltazione. “Ora il toro può ben esser preso per le corna!!” soggiungendo mentalmente, tra sé e sé: “oh, at-tenzione! Non che io consideri il direttore un bovino, e neanche portatore di corna, è evidente. Si tratta solo di una metafora riferita alla situazione!”.
Il momento della verita’
In vista dell’incontro chiave approfondì ulteriormente la sua preparazione. Si sciroppò Alla ricerca dell’eccellenza di Tom Peters in lingua originale (meglio non fidarsi troppo delle traduzioni) e arrivò perfino a leggersi Essere Leader di Goleman e Boyatzis15. L’incontro fu molto piacevole. Il direttore lo ascoltò con attenzione e interloquì in modo molto appropriato. Tra l’altro, mostrò una certa attenzione al tema delle risorse umane, e parlò con entusiasmo proprio del libro di Goleman e Boyatzis sulla leadership che aveva appena acquistato (e di cui, per ora, aveva letto qualche pagina), aggiungendo, tra l’altro, che era a conoscenza di un programma di formazione intensivo sul tema che alcune grandi banche avevano realizzato16 e che proprio si ispirava al tema della leadership emozionale. Ma intanto si andava verso il punto chiave, la morsa si stringeva e il formatore SMESP sentiva di essere arrivato al cosiddetto ‘momento della verità’17. E quindi osò e formulò, finalmente, la domanda chiave: “E allora, cosa possiamo fare?”. Stava quasi per aggiungere “sa, ho qualche idea da proporle…”, ma si trattenne. Il direttore aveva cambiato postura, e il nostro SMESP era troppo allenato alla comunicazione non verbale per non capire che qualcosa non stava funzionando come sperava.
L’abisso senza fondo
Vi fu un attimo di silenzio. Il direttore distolse per un attimo lo sguardo, si strinse nelle spalle, sospirò, e disse: “Guardi, le cose che lei mi ha detto sono bellissime e interessantissime. Credo di uscire da questo nostro incontro con una prospettiva diversa, e la ringrazio. Io, personalmente, cercherò, quello che ho appreso, di applicarlo dove posso. Ma qui, nella nostra banca… (glielo dico in confidenza perché so che posso contare sulla sua discrezione)… con la gente che abbiamo…”. Il direttore non finì la sua frase, si limitò a sospirare una seconda volta scrollando la testa. Il nostro formatore da SMESP tentò un rilancio: “ma a me è parso …”. Il direttore, non lo lasciò finire: “guardi, lo so per esperienza, la gente ai corsi mette in evidenza il lato migliore; se poi in aula c’è una persona in gamba e stimolante come lei, ancora di più. Io, però, li vedo nella vita quotidiana; poco propositivi, perennemente in difesa dei loro spazi, pronti a confliggere con gli altri su quisquilie. Gente gretta, senza slanci ideali; sempre pronti a vedere il problema negli altri e mai disposti a mettersi in gioco personalmente… Insomma, mi pare che, con gente così, al massimo, si possa tirare avanti con un’aggiustatina qua e là, ma progettare un cambiamento…”. Qui il direttore, con un’ultima scrollata di capo, si fermò e il nostro formatore SMESP si trasformò ex abrupto in un formatore SM: ancora senza macchia, ma con un po’ di paura (o forse, neanche paura, ma, come dire, una cosa sul tipo di quel senso di ansia e di vertigine che si prova quando si guarda giù, in un abisso senza fondo). “Ma come?” pensò. “Il busillis mi sfugge di nuovo? Credevo di essere arrivato alla fine del percorso e invece mi ritrovo all’inizio! Ma questo toro, come si fa ad afferrarlo se non lo si trova mai? Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo –diceva Archimede– ma qui il punto d’appoggio dov’è? E tutte quelle sinergie di cui tanto mi sono riempito la bocca… dov’è il loro punto d’innesco?”. La situazione gli parve disperante. Ma proprio in quel momento, nell’oscuro e desolato vuoto che si era prodotto nella sua mente, vi fu come una lieve fluttuazione e brillò, improvvisa, la luce: una specie di Small Bang. E capì.
Finito così? Sì, finito così. E devo confessare che la cosa non mi soddisfa. Ma come? Sul più bello, quando veramente si arriva al nocciolo chiarificatore, la storia si interrompe! E cosa diavolo aveva capito il formatore SMESP? Purtroppo, l’autore è ignoto e non c’è modo di saperlo. Ho però pensato che, forse, ricorrendo a voi, cari lettori, quello ‘Small Bang’ lo possiamo ricreare. Qualcuno di voi ha qualche idea in proposito? E se sì, può essere così gentile da comunicarmela? Io, a nome mio e di quanti sono rimasti insoddisfatti dal finale di questa storia, lo spero proprio.
1 La formula d’apertura “c’era una volta…” è dovuta al fatto che la specie “formatore SMESP”, come è noto, pare sia in via d’estinzione (malgrado pochi esemplari stiano ancora resistendo con accanita ostinazione ai meccanismi della selezione naturale e alle previsioni degli esperti)
2 Così insegnava il suo maestro Douglas Mc Gregor (The human side of the enterprise, Mc Graw Hill, 1960)
3 Questo l’insegnava un altro suo maestro: Abraham Maslow (Motivation and personality, Harper & Row 1954)
4 Qui il riferimento è a un suo non maestro: l’aborrito Friedrich Winslow Taylor
5 M. Csikszentmihaly, J. Le Fevre, “Optimal experience in work and leisure”, in Journal of Personality and Social Psychology 1989, n° 56.
6 Molti ritengono che il tempo libero possa essere fattore di stress; mancano, però, verifiche empiriche. Una rilevazione stress-tempo libero correlato, in proposito, sarebbe assai auspicabile.
7 Basato sulla creazione di sinergia. La scienza economica ci ha abituato al concetto di trade off (o questo o quello) ma la creazione di sinergia ci sposta nel mondo del trade on (e questo e quello). Un piccolo miracolo di creatio ex nihilo!
8 Csikszentmihaly per descrivere questi ‘stati di grazia’ usa il termine flow; sono stati in cui le azioni fluiscono senza sforzo e il performer perde consapevolezza di sé mentre l’attenzione si focalizza come un laser sul sistema con cui si sta interagendo, creando la percezione di una simbiosi virtuosa tra performer e performance e, nel caso della formazione, tra formatore e partecipanti (M. Csikszentmihaly, Flow: the psychology of optimal experience, Harper & Row 1996)
9 Mentre un altro gruppo, nel quale spiccavano i pionieri dello Scientific Management (Taylor, Gantt, Gilbreth, Humble e tanti altri tra cui i fondatori di alcune affermatissime società di consulenza internazionali) lo guardavano con aria smarrita.
10 Il satori, nella filosofia Zen, è lo stato di illuminazione; il risveglio spirituale in cui l’io va al di là dei suoi confini, scorgendo la sintesi tra l’affermazione e la negazione e intuendo che l’essere è il divenire e il divenire l’essere.
11 Film strappalacrime degli anni quaranta, diretto da Carmine Gallone.
12 Da Guillaume Benjamin Duchenne de Boulogne, famoso neurologo del 1800, che per primo individuò e descrisse rigorosamente le caratteristiche neurofisiologiche del sorriso autentico (quello a cui partecipano gli occhi e la bocca). Il sorriso Duchenne si contrappone al c.d. “sorriso Pan American”, inautentico e più simile al rictus (contrazione spasmodica dei muscoli facciali periorali, per cui la bocca assume un atteggiamento simile al riso) dei primati inferiori impauriti, che non a una manifestazione di felicità.
13 Vedi nota precedente
14 Non ci si stupisca. Chi pratica il mestiere del formatore sa che, se non si riesce sempre e velocemente a ripartire con entusiasmo malgrado i traumi psicologici che l’esercizio dell’arte produce quasi quotidianamente, meglio chiuder bottega e darsi ad altre attività.
15 Convincendosi, arrivato a pagina 120, che poteva, per palese banalità di contenuti, anche lasciare perdere.
16 Il nostro formatore giustamente si astenne dal manifestare le sue opinioni sul testo in questione e sui relativi corsi.
17 Quando cioè, toro e toreador si fronteggiano nel rendez vous finale (si tratta, anche qui, di metafora riferita alla situazione e non a persone).