Il futuro del welfare aziendale nelle Pmi: tra profit e non profit

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di Giovanni Scansani

Presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano si è tenuto, il 10 maggio 2016, il seminario Il futuro del welfare aziendale nelle Pmi: tra profit e non profit presentato da Vita, società editrice dell’omonimo mensile dedicato al sociale, alla sostenibilità economica e ambientale e al mondo del no profit. A organizzare l’incontro anche Generali Italia (rappresentata da Andrea Mencattini, Responsabile delle Relazioni Istituzionali del player assicurativo), società che figura tra i promotori di Welfare Index Pmi, la prima indagine nazionale sulle pratiche di Welfare aziendale nelle Pmi italiane.
Moderato da Riccardo Bonacina, Direttore editoriale di Vita, il dibattito ha consentito ai relatori di affrontare un tema emergente nel quadro delle pratiche di welfare aziendale in Italia: quello del ruolo che in futuro sempre più potrà avere il Terzo settore nello sviluppo di queste prassi e più in generale nel processo di condivisione delle risposte che potranno essere date ai nuovi e tradizionali bisogni espressi dalle persone che lavorano e dalle loro famiglie.

Le ricadute positive sulla comunità
Muovendo dalla premessa che con la recente Legge 208/2015 (legge di Stabilità 2016) il Governo e il Parlamento, mirando a promuovere una più ampia diffusione del welfare aziendale, hanno inteso riconoscere quanto le relazioni industriali hanno sin qui prodotto in questi ultimi difficili anni e ci si è concentrati sulle nuove sfide che dovranno essere raccolte dalle parti sociali.
In particolare occorrerà allargare lo sguardo sulle positive ricadute che le pratiche di welfare aziendale sono in grado di generare non solo per le imprese e i lavoratori (e le loro famiglie), ma più in generale per la comunità e per quelle realtà che in questa sono particolarmente attive con servizi del tutto coerenti alle finalità che i Piani di welfare aziendale si prefiggono di conseguire. In gioco c’è il ruolo di migliaia di realtà della società civile (associazioni, cooperative e imprese sociali) che si sono, sin qui, sempre (solo) poste come operatori (esecutori) delle politiche di welfare pubblico e che, allargando lo sguardo, dovrebbero ora porsi nella condizione non solo d’intercettare la crescente domanda di servizi che promana dalle imprese nel quadro della realizzazione dei loro interventi di welfare aziendale, ma anche offrendosi come interlocutori della fase progettuale degli interventi.
La contrazione dei fondi pubblici destinati alle politiche sociali ha, del resto, comportato una riduzione del numero di beneficiari degli interventi di sostegno pubblico con la conseguente contrazione della prima (e spesso unica) fonte di sostentamento per questi operatori.
La diffusione del welfare aziendale è quindi una preziosa leva di sviluppo e di innovazione per queste realtà e potrà essere la base per l’attivazione di nuove partnership con il mondo delle imprese se le tante realtà del Terzo settore vorranno figurare tra i player più attivi di questo mercato in costante sviluppo.

Il territorio rende le imprese competitive
L’intervento di Mencattini ha sottolineato come l’interesse della società assicurativa per il welfare risalga a molti anni fa quando i settori più ricchi (banche, assicurazioni e società multinazionali) hanno iniziato a integrare il salario con alcuni benefit e in particolare con la previdenza complementare. Questo è accaduto “perché già allora era chiaro che il sistema previdenziale pubblico non avrebbe potuto continuare a garantire i livelli di copertura per i decenni successivi”. Anche per le prestazioni sanitarie integrative, quelle aziende sono state all’avanguardia, fino a spingere le relazioni industriali, negli ultimi anni e in quasi tutti i settori, a prevedere queste formule all’interno dei contratti collettivi.
Mencattini ha poi ricordato che “il terzo capitolo sono le non autosufficienze: qui le aziende e i settori che prevedono coperture per i casi di non autosufficienza sono ancora molto pochi, a fronte di una realtà in rapido mutamento che porterà il numero dei non autosufficienti in Italia a oltre 4,5 milioni nel 2040”.
Proprio quest’ultimo aspetto è quello che, più da vicino – insieme ai temi legati ai servizi per i minori (per esempio asili e servizi didattici di sostegno) – vede direttamente coinvolte le realtà del sociale e potrà farne degli attori autorevoli ed affidabili per la tenuta operativa, ma anche qualitativa, dei Piani di welfare aziendale.
Il Terzo settore, con il suo forte grip territoriale, potrà soprattutto incontrare con una maggiore facilità di dialogo proprio la domanda di welfare aziendale espressa da quelle imprese che, a loro volta, con la loro presenza sul territorio e la capacità di dialogo con la comunità, rappresentano uno degli elementi di tenuta del nostro tessuto economico e sociale: le Pmi. Se si considera che nelle imprese di questa dimensione sono impiegati circa l’80% dei lavoratori è agevole comprendere come sia proprio in questo immenso bacino che il welfare aziendale e gli erogatori dei servizi potranno trovare le chiavi per uno sviluppo potenzialmente enorme. Esso, poi, porta con sé ulteriori benefici effetti sul piano collettivo perché, come noto, il settore dei servizi alla persona è stato l’unico ad incrementare il tasso di occupazione, nonostante la crisi, soprattutto alzando il tasso di employability femminile.
Come a dire che lo scenario è cambiato: non sono più le imprese competitive che fanno i territori competitivi, ma il contrario: sono i territori con un alto grado di “capitale sociale” a vincere la sfida della qualità e della competizione.

I rapporti col mondo della cooperazione
L’indice elaborato da Generali (Welfare Index Pmi) ha già sfatato un altro dogma: che le Pmi non siano attente alle politiche di benessere dei lavoratori. Certo: potrebbero essere tante di più a farne uno dei cardini delle politiche di organizzazione del personale e anzi oggi la vera sfida è proprio quella di riuscire a diffondere le pratiche di welfare aziendale tra le medie, piccole e piccolissime imprese che spesso non hanno le risorse economico-organizzative necessarie all’implementazione di tali interventi (o, non meno frequentemente, non sanno come reperirle, pur disponendone).
Stefano Granata, Presidente del Gruppo Cooperativo Cgm, ha del resto ben sottolineato come “i dati sulle Pmi evidenzino che il welfare deve nascere da un forte patto territoriale”: “L’impresa sociale non si candida a essere l’erogatore totale dei servizi di welfare alle imprese, ma a partecipare come facilitatore, a fare da scivolo per permettere queste connessioni e fornire risposte”.
Il mondo delle cooperative e delle imprese sociali ha dato un’importante spinta all’innovazione, cercando di colmare il ritardo accumulato dal nostro Paese nello sviluppo di iniziative di welfare in azienda, soprattutto nell’ambito della non autosufficienza, e cercando di trovare nuove forme di risposta ai nuovi bisogni sociali. Come ha ricordato Giuseppe Guerini, Presidente di Federsolidarietà e Portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Sociali, “il mondo della cooperazione sociale costruisce risposte e il mondo delle Pmi e di chi vi lavora esprime una forte e crescente domanda di tutela”.

Sullo sfondo sta, infine, una sfida maggiore: un “patto” tra stakeholder che consenta di sviluppare prassi di Welfare Aziendale che si aprano al (e coinvolgano nella progettazione il) territorio definendo interventi e strutturando servizi sulla base di una dialogo a più voci nel quale trovino espressione le aziende profit, le imprese sociali e il non profit: è da questa collaborazione che potranno derivare nuovi interventi di welfare capaci di cogliere le istanze dei territori e sviluppare risposte ai bisogni che siano concrete e realmente sostenibili. Ed è in questa prospettiva “circolare” che potrà dare i suoi migliori frutti la sussidiarietà sottesa agli interventi di Welfare .

Su questi importanti temi sta maturando il dibattito più avanzato sul Welfare Aziendale e su di essi fornirà utili indicazioni di scenario la seconda edizione di “Welfare Index PMI”, prevista per il 2017 e già annunciata da Generali Itala, il cui campo d’indagine si allargherà alle imprese sociali.

 

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