Emigrare non è una fuga, ma un’occasione per crescere

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La storia di copertina del numero di luglio-agosto-settembre 2019 di Persone&Conoscenze, dedicata ai ‘manager in movimento’, ha suscitato grande interesse tra i lettori. Alcuni di loro hanno deciso di contribuire al dibattito raccontando la propria esperienza personale di manager all’estero. Pubblichiamo di seguito il contributo di Paola Floris, VP e Country General Manager di Chep Canada. Chi volesse condividere la propria esperienza può scrivere a: dario.colombo@este.it

 

Non sono pochi gli italiani che hanno scelto di emigrare all’estero e, numeri alla mano, crescono ogni anno di più: secondo i dati dell’Anagrafe degli italiani all’estero (Aire) si è passati dai 3 milioni del 2006 ai quasi 6 del 2018 (se volessimo fare un confronto, si tratterebbe della seconda regione italiana dopo la Lombardia che conta 9 milioni di residenti).

Per l’Ocse siamo l’ottavo Paese per emigrazione. I dati parziali sul 2018 dicono che lo scorso anno è stato da record per gli espatri degli italiani: 120mila a fronte di 47mila rimpatri. Il risultato è stata una crescita sempre più intensa del saldo migratorio che ha portato negli ultimi anni a perdite comprese tra 72-77mila persone.

Si tratta del numero massimo di espatri registrati nel decennio in corso, ma anche un vero e proprio ritorno al passato cioè a livelli numerici dell’inizio degli Anni 70 quando gli espatri superavano le 100mila persone (all’epoca la situazione era ampiamente compensata dai rimpatri).

Negli Anni 70 si era conclusa la seconda grande fase di emigrazione italiana oltreconfine, soprattutto europea. La tregua dell’emigrazione tricolore è durata però solo una trentina d’anni. Poi l’emorragia di italiani dal nostro Paese è tornata anche se con numeri inferiori a quelli della prima ondata migratoria (dall’Unità d’Italia al Dopoguerra) e della seconda (dal Secondo Dopoguerra agli Anni 70).

In che cosa si differenzia dagli altri periodi la nuova emigrazione? Innanzitutto, dalla provenienza: quasi il 70% dei nuovi migranti italiani proviene da una regione del Nord o Centro del Paese, il che capovolge la tradizionale geografia dell’emigrazione dal Mezzogiorno. L’anno in cui il Centro-Nord ha sorpassato il Sud come saldo migratorio negativo è stato il 2007, quindi poco prima della Grande Crisi, anche se la situazione è precipitata dal 2011.

Il 65% di chi emigra ha diploma e laurea, il 30% ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni. Nel complesso più della metà degli italiani all’estero ha tra i 18 e i 44 anni. Uno su cinque è minorenne e significa che a trasferirsi sono interi nuclei familiari. La maggior parte degli italiani residenti all’estero vive in Europa, circa 3 milioni, segue l’America Latina con 2 milioni e poi il Nord e Centro America dove risiedono circa 500mila italiani. I restanti sono sparpagliati tra Africa, Asia e Oceania. Io sono inclusa nel mezzo milione in Nord America.

Nuove competenze, relazioni e opportunità

Sono arrivata in Canada nel 2016 poco prima dell’inverno, con i suoi stupendi e sconfinati orizzonti imbiancati dalla neve, ma anche le sue temperature a -25 gradi. Non è stato facile ricominciare tutto da capo in una terra straniera, in una lingua che non è la mia e in una cultura molto differente contando solo su un grande spirito di adattamento e sulle mie forze e competenze. Ma dopo tre anni posso guardare indietro e gioire delle nuove competenze che ho acquisito a livello professionale, ma anche della rete di relazioni e amicizie che arricchiscono la mia vita.

L’Italia vista da qui fa uno strano effetto strano. Sembra piccola se comparata alla grande cartina geografica canadese, molto più di quanto non lo sia già. Questa è la sensazione stando in una metropoli aperta, organizzata e multietnica come Toronto.

Qui tutti amano la nostra cultura, le nostre tradizioni, ne sono affascinati. Noi italiani siamo pronti a condividere con chiunque conoscenze ed esperienze. E siamo perfettamente a nostro agio in un ‘mondo nel mondo’ come quello canadese, multietnico all’ennesima potenza. Si può essere tentati di pensare che la decisione di migrare all’estero sia dovuta all’aumento dei rapporti a termine o dalla mancanza di opportunità lavorative adeguate. Ma non è sempre così, ci sono storie diverse da raccontare. Sono storie di opportunità di chi si sente di avere il mondo davanti, di chi quelle occasioni le vuole esplorare in prima persona.

È la nostra storia, di tanti giovani o meno giovani che un giorno hanno salutato la famiglia, gli amici, la terra d’origine per intraprendere un’avventura sconosciuta, ma affascinante allo stesso tempo. È anche la mia storia, quella di una persona con un lavoro interessante e gratificante a Milano, che un giorno decide di preparare letteralmente due valigie e di cogliere una nuova opportunità dall’altra parte del mondo. È la storia di un’occasione e non di una fuga, per mettersi in gioco e per arricchire la propria vita con un’esperienza diversa.

Una migrazione consapevole

Arrivando qui a Toronto ho conosciuto diverse persone in tutti gli ambiti professionali, dal medico all’avvocato, dall’impiegato allo studente che sono arrivati nello stesso modo, ossia non in fuga, ma con la mente aperta e la volontà di fare un’esperienza diversa. E alla domanda “perché hai scelto di lasciare l’Italia”, spesso la risposta è stata: “non ho deciso di lasciarla, sono arrivato qui per un progetto di sei mesi, un anno o due ma a distanza di anni (in qualche caso di decenni) ci sono ancora progetti per i quali è interessante rimanere”.

Sono persone che non sono costrette a rimanere all’estero per mantenere la famiglia, per ragioni economiche, ma scelgono ogni giorno questa opportunità perché continua a essere interessante per loro. È la migrazione per scelta, la migrazione consapevole che un’esperienza in un altro Paese apre la mente.

Certamente non è tutto ‘rose e fiori’, l’inizio non è facile soprattutto per chi come me ha intrapreso questo cambiamento da sola. Iniziare una nuova esperienza all’estero vuol dire anche doversi occupare di una serie di aspetti della vita quotidiana che si è abituati a dare per scontato: dal rifacimento della patente (perché anche dopo 20 anni di guida in Italia, la nostra patente non è riconosciuta in Canada), ottenere una carta di credito (perché nel nuovo Paese non si ha ‘una storia’, ossia un credit score e quindi non è scontato che la banca si fidi), trovare un medico curante, affittare una casa in un mercato dove le case si affittano o acquistano online.

Partire da soli ha sia i lati positivi sia quelli negativi. Non ci si deve preoccupare di trovare il lavoro al partner o di inserire a scuola i figli, ma d’altra parte non si ha alcuna rete all’arrivo con tutta la famiglia e gli amici di sempre a 7mila chilometri di distanza. Il networking e le relazioni con nuove persone diventano allora fondamentali per costruire una rete e una città come Toronto offre tantissimi momenti di networking e aggregazione.

Oltre a partecipare a diversi eventi, io mi sono costruita la mia rete fondando la Bocconi Alumni Community di Toronto nel 2017 con l’obiettivo di favorire il networking tra i bocconiani in Canada. Ogni persona ha qualcosa da donare, un punto di vista, un pensiero e in questo contesto l’ascolto attivo che permette l’apertura a conversazioni diverse è basilare. Noi ci incontriamo con l’obiettivo di condividere le esperienze e le competenze. Spesso nei nostri eventi Bocconi si mettono in contatto persone che possono avere situazioni o interessi in comune con l’obiettivo di costruire connessioni capaci di dare il via a nuove sinergie e opportunità. Il networking è un processo di lungo periodo basato sull’ascolto attivo e sulla volontà di essere generosi e aiutare gli altri.

Come dicevo, Toronto è una citta multietnica e nel giro di qualche mese ci si ritrova ad avere amici da tutto il mondo: è successo cosi per me e ora ho amici dalla Vecchia Europa residenti qui da anni, così come da Sud America, Stati Uniti, India e ovviamente canadesi. In tale contesto si impara anche ad affrontare le difficoltà nel modo e nello spirito giusto, perché siamo immersi in un mondo di persone gentili e accoglienti che permettono di superare ogni difficoltà.

L’esperienza che viene fatta dipende moltissimo dallo spirito con cui la si affronta. Se la si vive con entusiasmo, come la possibilità di sviluppare nuove competenze, di incontrare nuove persone e visitare luoghi sconosciuti e bellissimi, allora sarà un ricordo che rimarrà indelebile per tutta la vita e le difficoltà che (immancabilmente) si incontrano all’inizio rappresentano solo un piccolo rallentamento in un percorso più grande e gratificante.

Se, al contrario, si vive questa esperienza con spirito negativo, mettendo in costante comparazione il Paese straniero con l’Italia non vedendo l’ora di tornare, allora l’esperienza diventerà una difficoltà da abbandonare il prima possibile. Noi italiani abbiamo un vantaggio, perché sappiamo navigare su terreni non chiaramente definiti, sappiamo adattarci a mille occasioni diverse, siamo pertanto più portati ad avere esperienze positive derivanti da grandi cambiamenti.

Un nuovo senso all’immigrazione

Sto vivendo questa esperienza come un privilegio: a livello professionale mi ha dato –e sta dando– tanto. A livello personale è un incredibile acceleratore di esperienze. È un’esperienza che consiglio di fare a tutti coloro che ne hanno la possibilità, perché costringe ad aprirsi e a guardare le cose con occhi diversi.

L’esperienza di noi nuovi immigrati a Toronto è molto diversa dall’immagine che tipicamente si ha dell’immigrato italiano da moltissimi anni. La prima e la seconda immigrazione sono state infatti caratterizzate da tre costanti: la nostalgia, per la Patria lasciata e per la famiglia; il risentimento verso un Paese che non ha saputo dare le opportunità per rimanere e ha costretto tante persone a partire; la voglia di riscatto, quella di farcela e di mostrare al Paese, nel senso di Stato, ma anche ‘paesello’ di provenienza, di avercela fatta, di aver avuto successo.

La nostra immigrazione non è più così, non ci identifichiamo più con l’immagine dell’immigrato in fuga, nostalgico, incapace di integrarsi e alla ricerca di riscatto. Noi siamo gli immigrati che ricercano l’integrazione e che soprattutto vogliono superare la narrativa della fuga e del ritorno e introdurre l’idea dello scambio come qualcosa di fluido e di mobile, che come tale genera valore.

Noi giovani (o meno giovani) arrivati a Toronto per cogliere un’opportunità non amiamo sentire parlare di fuga di cervelli, è un termine superato. Ci sentiamo e siamo cervelli in movimento, oggi a Toronto e domani chissà dove. Cervelli in movimento perché non si rimane per sempre nello stesso posto, ma dopo un po’ si cercano nuove esperienze in Paesi diversi dove le nostre abilita’ acquisite in Italia o piu’ recentemente In Canada possano essere reimpiegate con successo al servizio di nuovi Paesi.

L’articolo si inserisce nella storia di copertina ‘Storie di manager in movimento’ del numero di luglio-agosto-settembre 2019 di Persone&Conoscenze.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

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