
Dare un senso all’etica
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Mi soffermo su uno dei temi che attraversa trasversalmente Persone&Conoscenze: l’etica intesa essenzialmente come responsabilità personale e sociale. Mauro De Martini, nella sua rubrica, pone la questione in una maniera nella quale mi ritrovo perfettamente.
“L’impresa è un reticolo formato da portatori d’interesse e vive nell’equilibrio delicato, a volte instabile, tra diverse attese. Per fare scelte etiche corrette si potrebbe, forse, concepire un’impresa in grado di mantenere questo equilibrio […] Tuttavia, subito, il ‘genio maligno’ del dubbio fa sorgere nuove domande.
Tutti i portatori d’interesse hanno lo stesso peso? La pressione di potere esercitata da chi ha in mano le leve economiche più forti ha lo stesso valore di chi occupa posizioni di minore rilievo o di chi abita in regioni di confine, lontane dal centro del potere? Come facciamo a rilevare i veri interessi di tutti i soggetti coinvolti in questo sistema di relazioni?”.
La possibile risposta a queste domande sta nel rinunciare a cercare una astratta ‘etica nel business’ valida erga omnes e a tutti proposta o imposta. Conviene, invece, considerare rilevante e significativa “l’etica individuale di ciascun manager, impiegato od operaio”.
Dalla convergenza di queste ottiche personali emerge la concreta ed efficiente etica del gruppo, del settore aziendale, dell’intera impresa. Non a caso Franca Olivetti Manoukian, osservando in particolare le organizzazioni socio-sanitarie, ma proponendo una riflessione che vale per ogni tipo di organizzazione, torna a ribadire la “responsabilità del singolo”.
Si torna per questa via a riflettere sulle caratteristiche di una organizzazione orientata a favorire l’assunzione di responsabilità personale. Così De Martini parla di un contesto che garantisca a ognuno “non solo il diritto al dubbio, ma soprattutto il dovere della domanda”. Serve quindi “flessibilità, dialogo, attenzione agli interessi e al coinvolgimento di tutti i soggetti appartenenti al sistema”.
Affinché, come scrive Piero Trupia, “l’errore personale non sia occultato o scaricato su altri”. Federico Butera –da testimone consapevole, essendo stato tra i protagonisti di quella stagione– ripercorre per noi la storia di una azienda esemplare: la Olivetti. Se cerchiamo un’impresa aperta al dubbio e alla domanda, attenta a valorizzare i diversi contributi personali, certo la Olivetti ci è maestra.
Ma Butera, giustamente, si tiene lontano da ogni retorica. Troppo spesso, infatti, mi pare guardiamo al grande esempio olivettiano alla ricerca di un modello esterno. Il che è esattamente il contrario dell’assumerci le nostre responsabilità. Credo che dovremmo interrogarci sul perché la Olivetti è scomparsa dalla scena. Se il modello era così buono, si potrebbe supporre che avesse sviluppato anticorpi tali per cui avrebbe dovuto sopravvivere a eventi negativi.
E dovrebbe prosperare anche oggi. La lezione consiste dunque, alla fine, nell’invito a fare a meno di miti consolatori e a guadare al futuro. Ciò che manca è una Olivetti presente e futura. Una impresa più equa e più etica ci sarà solo se ognuno di noi farà la sua parte, contribuendo a edificarla attraverso le proprie pratiche e il proprio agire quotidiano.
Proprio questi sono i temi che Assoetica, associazione senza scopo di lucro fondata sul lavoro volontario, con il sostegno della casa editrice ESTE, propone nei suoi eventi dedicati a tutti coloro che –senza arrendersi al cinismo, al quieto vivere, all’arroganza– credono nell’etica nel lavoro.
Nel corso degli incontri ognuno è invitato a parlare di come l’etica si incarna nel suo lavoro. Non servono astratti principi, serve un’etica vissuta nella pratica quotidiana, messa in atto nonostante i vincoli, nonostante le difficoltà e i limitati spazi concessi all’azione personale. L’etica, infatti, è un’ottica.
È il proprio sguardo sul mondo. Storia delle proprie origini, tradizione familiare, indole personale, competenze professionali, valori, si fondono in un modo di agire indistinguibile. Etica ‘nel’ lavoro. Accettare la fatica di essere se stessi. Muoversi dentro gli inevitabili vincoli, facendosi carico degli obiettivi assegnati, ma sempre restando convinti che esistono spazi per agire secondo i nostri valori, il nostro personale criterio di giustizia.
C’è quindi un augurio che siamo chiamati a condividere: non lasciamo che “etica” sia una parola vuota. L’etica è il ricordo della nostra educazione, è ciò in cui crediamo, è il proprio senso di dignità e di integrità, è la fiducia nel futuro.