feedback_emozioni.jpg

Dare il feedback, che emozione!

, , ,

Tante sono le situazioni aziendali piene di emozioni. Non c’è dubbio che, nelle grandi trasformazioni determinate da fusioni, acquisizioni o ristrutturazioni, lo stato emotivo sia estremo. Si respirano tensioni e paure, ma in alcuni casi anche eccitazione, entusiasmo e frenesia.

Molto meno drammatici –ma senz’altro più frequenti e spesso parte della nostra quotidianità– sono le emozioni vissute in relazione a situazioni di feedback, specialmente quelle in cui il messaggio da passare non è solo un complimento o una pacca sulle spalle, ma quelle in cui si tratta di segnalare un’area di miglioramento.

Tecnicamente la parola “feedback” significa “nutrire di ritorno”, cioè riportare all’altro quello che abbiamo visto, informazioni che pensiamo possano essere utili per fargli fare un passo in avanti nello svolgimento del suo lavoro. Spesso si sente dire che l’esperienza è un’occasione di apprendimento, che l’errore è un’opportunità per fare meglio la prossima volta. Questo in teoria. In pratica il passaggio tra un fatto avvenuto e un futuro affrontato con maestria è faticoso.

Il feedback è parte della relazione tra le persone e, per far sì che sia costruttivo, necessita di una buona dose di allenamento di abilità interpersonali quali l’ascolto, la comunicazione e il tatto. Dobbiamo capire il dosaggio: quanto l’altro riesce a ricevere senza entrare in un loop di rancore o rabbia. Conta senz’altro l’intelligenza di scegliere un momento adatto e un luogo adeguato. Se l’altro va di fretta, è in preda a un sequestro emotivo o intorno ai due ci sono altri interlocutori, potrebbe essere difficile far passare il messaggio. Un feedback utile non espone l’altro a ulteriori pericoli, come il sentirsi giudicato o addirittura sanzionato, magari in pubblico.

Quando entriamo nel delicato mondo delle emozioni c’è poi da valutare non solo il fatto oggettivo accaduto, ma soprattutto le circostanze che hanno dato origine al comportamento in oggetto. Dicono che il feedback debba focalizzarsi sul comportamento: non bisogna attaccare la persona, ma aiutarla a capire esattamente cosa poteva fare in modo diverso.

Critica o consiglio costruttivo?

Una delle difficoltà in tutto ciò è il fatto che, dall’altra parte, i nostri tentativi d’aiuto vengano spesso percepiti come attacchi con pensieri conseguenti come: “Se lo sai fare così bene, perché non lo fai tu?”; oppure: “Facile per te dire che bisogna fare così. Poi tocca a me fare il lavoro vero, non solo parlare”.

In tutto ciò credo ci sia un misunderstanding di fondo che, erroneamente, rende colui che sta dando il feedback un soggetto esterno alla situazione, pronto solo a indicare ciò che non va oppure a esprimere la sua soluzione. In questo modo ci si mette in contrapposizione. Si crea un muro. Si configurano due entità separate, quando invece la soluzione sarebbe creare un sentito ‘dell’insieme’.

Cosa vuol dire? Significa che quando la persona che sta dando il feedback si comporta come un alleato con chi lo riceve tutto lo scenario cambia radicalmente. Indipendentemente dal fatto che si tratti di un feedback tra pari o tra capo e collaboratore (e viceversa), la percezione del ‘possiamo fare meglio insieme’ trasforma in modo viscerale il tono della conversazione, poiché siamo a modo nostro tutti responsabili di come vanno le cose.

Esattamente come nell’opera dell’artista britannico Damien Hirst, Togetherness, la palla la dobbiamo tenere in alto insieme. La vera domanda da fare è: “Come posso aiutarti per fare meglio la prossima volta?”. Ecco così che sparisce la struttura “io dico, tu fai” o “area mia, responsabilità mia; area tua, responsabilità tua”.

Se dato con competenza, infatti, il feedback diventa una conversazione nella quale due persone condividono le loro riflessioni su un accaduto e non soltanto, poiché la vera fonte di accrescimento è l’opportunità di mettersi in una situazione di co-pensiero dove insieme riflettiamo su modelli comportamentali alternativi.

Se siamo una squadra, possiamo essere creativi e produrre soluzioni e idee molto più ricche e nutrienti rispetto all’ipotesi di restare nell’algido approccio: “Ti elenco gli aspetti positivi e negativi della tua performance”. E quali sono i comportamenti che permettono che tutto ciò accada? Per me la risposta sta almeno parzialmente nella maieutica. Se riesco a porre le domande utili all’altro, arriverà lui stesso alla comprensione delle sue mancanze. Per far ciò devo però gestire le mie emozioni.


Anja Puntari

Artista e Visual Business Coach

Cookie Policy | Privacy Policy

© 2019 ESTE Srl - Via Cagliero, 23 - Milano - TEL: 02 91 43 44 00 - FAX: 02 91 43 44 24 - segreteria@este.it - P.I. 00729910158
logo sernicola sviluppo web milano

Trovi interessanti i nostri articoli?

Seguici e resta informato!