Dal direttore d’orchestra al coach: il modello Carpigiani

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Intervista a Roberto Morisi, HR Manager di Carpigiani
di Valentina Casali

“Competenza, correttezza e integrità, spirito di squadra, spirito innovativo e responsabilità sociale formano la nostra cultura.” Così si legge sul sito internet di Carpigiani, azienda fin dalle origini caratterizzata da una vocazione internazionale, che oggi esporta in 140 Paesi nel mondo, potendo contare su più di 500 distributori. Ma cosa vogliono dire davvero queste parole? Lo abbiamo chiesto a Roberto Morisi, HR Manager di Carpigiani da quasi vent’anni.

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La Carpigiani è oggi un’azienda manageriale condotta con stile imprenditoriale: questo il leitmotiv che accompagna tutta l’intervista. Ma andiamo per gradi e capiamo il perché.
L’azienda nasce nel 1946 per iniziativa dei due fratelli bolognesi Bruto e Poerio Carpigiani; il primo, noto progettista nell’ambito dell’automazione meccanica, il secondo, scafato uomo di marketing. L’idea è semplice: realizzare una macchina per fare il gelato fresco e distribuirla in tutto il mondo servendo milioni di gelaterie e pasticcerie (solo più tardi arriveranno le prime catene di fast food).
Ma ecco la svolta del 1982. L’azienda passa di proprietà, per essere poi acquisita nel 1990 da Ali Group, diventando manageriale. Ma non nel senso più puro del termine, essendo ancora forte l’impronta dei due fratelli fondatori. Ciò che, da quel momento in poi, avrebbe caratterizzato la storia fino ai giorni nostri è uno stile imprenditoriale, che permette velocità nell’esecuzione, accanto a metodi di gestione e controllo tipici delle imprese manageriali. Tenendo bene a mente queste premesse, inizio la mia chiacchierata con Roberto Morisi, un uomo che affronta con passione quotidiana il proprio lavoro; passione che traspare da ogni sua parola.

 

Roberto Morisi


Mission di Carpigiani è da sempre la ricerca dell’eccellenza. Per realizzarla, serve avere a disposizione le giuste competenze ed essere pronti a trattenerle. Come si fa?

Carpigiani è la perfetta sintesi di un’azienda di prodotto che guarda al mercato. Fin dal principio, la macchina inventata da Bruto – diventata ormai archetipica delle macchine per il gelato nate successivamente – è stata frutto di tentativi di innovazione tecnologica. Solo la costante attenzione alla ricerca può portare davvero innovazione. In Carpigiani lo abbiamo capito ed è per questo che il 25% del totale delle persone che lavorano in Italia si occupa di aspetti legati alla ricerca e allo sviluppo.
Certamente fare ricorso alle migliori risorse umane a disposizione è già un buon punto di partenza, ma bisogna far sì che le persone siano anche incentivate a rimanere. A questo scopo è fondamentale creare ambienti di lavoro improntati al benessere organizzativo. Gli effetti sono immediati, come testimonia la nostra realtà che vede un bassissimo turnover e un altrettanto minimo tasso di assenteismo, nonché una scarsissima conflittualità sindacale.
Facciamo molta attenzione a come selezionare le risorse. Piuttosto che affidarci a società di selezione abbiamo preferito instaurare canali di dialogo costante con le istituzioni scolastiche del territorio. Questo per entrare in contatto con i candidati fin dalla scuola e contribuire a formarli sulle competenze organizzative richieste dal mondo del lavoro. 


camioncino gelati carpigiani

 

Qual è il percorso tipico del ragazzo che esce dalla scuola e vuole entrare in Carpigiani?
Sono tantissime le iniziative di alternanza scuola-lavoro, per esempio. E sono numerose le esperienze di ingresso tramite stage curriculari. Fare carriera in Carpigiani non è solo possibile, ma anzi auspicabile. Quello che come direzione HR facciamo è cercare di prestare ascolto alle attitudini e alle aspirazioni dei candidati per poterli indirizzare verso i percorsi di carriera che fanno più al caso loro. Sosteniamo, inoltre, i ragazzi, lungo la strada che li porta ad assumere ruoli chiave nell’organizzazione; con la formazione continua sulle competenze tecnico-ingegneristiche, la formazione linguistica, ma anche la formazione trasversale sulle cosiddette soft skill.

 

Una volta che le competenze sono state trasmesse, occorre anche valorizzarle. Questo è un altro modo per trattenere i talenti e fare la differenza…
Valorizzare la professionalità delle persone e riconoscere i meriti è un’indubbia leva strategica per ottenere i risultati di business che si sono prefissati. Lo facciamo con incentivi economici che mutano lungo le diverse fasi di carriera del soggetto.
Per i neoassunti prevediamo una parte di salario variabile che dipende dal raggiungimento di target aziendali. Man mano che la persona cresce e va a ricoprire un ruolo più manageriale, stabiliamo degli obiettivi individuali. È importante dare a tutti –operai, impiegati, dirigenti, quadri– la possibilità di conoscere gli obiettivi. Solo così le persone sentono di contribuire al successo dell’impresa e aumentano la loro partecipazione alla vita aziendale. È poi necessario metterle nelle condizioni di raggiungere tali obiettivi, fornendo loro tutti gli strumenti utili. In questo, la trasparenza nei rapporti e la comunicazione della strategia sono essenziali.

 

La comunicazione, come condivisione delle esperienze, è alla base di quello spirito di squadra a cui si accennava in apertura. Possiamo approfondire?
Per creare uno spirito di squadra occorre stimolare una cultura della condivisione. Non è un obiettivo facile e in Carpigiani ci stiamo lavorando da diverso tempo. Bisogna tenere in considerazione che un’azienda come la nostra, nata e prosperata grazie alla generazione di brevetti, sperimenta da sempre una cultura della segretezza. Le persone sono state abituate a custodire gelosamente il loro know how e, per decenni, la Carpigiani è stata una squadra di solisti. Solisti ‘condotti’ dal fondatore, una sorta di direttore d’orchestra che teneva salde le redini del comando. Con la svolta manageriale si è cercato di rimpiazzare la leadership gerarchica con una leadership più carismatica e di introdurre il concetto della condivisione della conoscenza. Oggi il leader più che ‘condurre’, ‘guida’ e ‘allena’; più che essere un direttore d’orchestra è un coach, che deve mettersi in ascolto per poter esercitare la leadership.

 

Il leader come coach. Ci spiega?
Il coaching è uno strumento utile per sviluppare le competenze manageriali. Noi lo usiamo principalmente per formare i manager affinché siano a loro volta dei buoni coach. Per far questo, ci avvaliamo del supporto di società di coaching che aiutano la Direzione HR nella gestione degli aspetti che hanno a che vedere con l’allenamento ai comportamenti vincenti. 

 

gelato university


Cosa ci dice del mentoring?

Lo utilizziamo, anche se in modo non formalizzato, nell’ambito del diversity management. Pensiamo, per esempio, a come far convivere in azienda quelli che io chiamo gli ‘estremisti dell’esperienza’ (i senior) e gli ‘estremisti della novità’ (le risorse junior). Io credo che l’esperienza sia d’oro e vada valorizzata, ma ritengo anche importante esaltare la ventata d’aria fresca che portano i giovani in azienda. Al di là del mentoring e del reverse mentoring, lo strumento più efficace è l’ascolto reciproco, nella logica che tutti possono riapprendere ad apprendere. 

 

carrettino dei gelati

 

“Riapprendere ad apprendere” significa non dare mai per scontate le proprie competenze. Vuol dire mantenere viva la fame di conoscenza e la curiosità che sono sempre fonte di cambiamento e innovazione. E poi attesta che non è mai troppo tardi per imparare a fare tesoro delle esperienze altrui. Quali implicazioni ha questo concetto nella sua azienda?
Era il 1960. Il nostro Paese stava vivendo i primi anni del boom economico e la televisione in bianco e nero cominciava a entrare nelle case degli italiani. Con la complicità di alcuni produttori RAI nasceva il programma televisivo Non è mai troppo tardi, all’interno del quale un giovane pedagogo, il maestro Manzi, insegnava a leggere e a scrivere agliitaliani che avevano superato l’età scolare, ma che non ne erano ancora in grado.
Qualche decennio più tardi, era il 2008, all’indomani di una riorganizzazione aziendale che –complice la crisi– ci aveva visto costretti a chiudere uno stabilimento e a ricollocare gran parte delle persone. Un momento difficile per me, che dovetti rendermi conto di non fare abbastanza per le nostre persone, soprattutto quelle senza diploma, per le quali il percorso di outplacement fu dei più sofferti.
In quell’occasione pensai che se ce l’aveva fatta il maestro Manzi a convincere la RAI a dargli fiducia nell’arduo compito di alfabetizzare il Paese, chi ero io per non riuscire nell’impresa di aiutare i miei dipendenti guadagnandomi il committment dell’intero top management?
Il motto “non è mai troppo tardi” ha dunque agito da spinta per dare vita al progetto Diploma in Carpigiani.

 

storia carpigiani


Ci racconta?

L’idea era di mettere insieme una classe per permettere a quanti non avevano potuto finire il percorso scolastico di diplomarsi. Il tutto sostenuto economicamente dall’azienda, che si sarebbe occupata di pagare le rette di iscrizione e i libri di testo e avrebbe fornito i locali. L’obiettivo: far diplomare, nel giro di due anni, i dipendenti senza attestato di scuola media superiore come periti meccanici specializzati in meccatronica. Dall’idea originaria alla sua messa in pratica sono passati circa cinque anni, durante i quali abbiamo allacciato i rapporti con le istituzioni locali e, in particolar modo, con l’Istituto Ettore Majorana di San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna, che ha messo a disposizione i suoi insegnanti. Delle 50 persone potenzialmente coinvolgibili –dunque senza diploma– hanno risposto alla ‘chiamata’ in 30. Gli ammessi nel settembre 2013 sono stati 22, di cui 18 hanno portato a compimento il percorso e 13 si sono diplomati a giugno di quest’anno. Ciò che vorrei rimarcare, al di là dell’importanza di ottenere un diploma che permette di arricchire il proprio curriculum e di reimpiegarsi qualora si perdesse il posto di lavoro, è il valore di educare le persone a una competenza vincente nella vita come in azienda: l’imparare a imparare. Per non parlare delle ricadute positive sul clima aziendale; posso assicurare che queste persone hanno percepito l’impegno dell’azienda nei loro confronti e ripagato con un’attenzione maggiore al proprio lavoro. E, infine, gli effetti benefici rivolti all’intero territorio –la classe è stata allargata anche a non dipendenti, alcuni dei quali, terminati gli studi, sono stati assunti–, in quella logica di responsabilità sociale d’impresa che è parte fondante della nostra carta dei valori.

 

macchina gelato carpigiani


Dal suo racconto emerge una straordinaria passione che mette nello svolgere al meglio il ruolo di direttore del personale. Come giudica questi vent’anni trascorsi in Carpigiani e cosa si augura per il futuro?

Quella passata in Carpigiani è stata forse l’esperienza più coinvolgente della mia vita. La creazione di una cultura e di prassi manageriali in un’azienda imprenditoriale, che da sempre ha accompagnato il mio percorso, ha costituito una sfida stimolante. Inoltre, ho potuto vedere realizzarsi alcune delle iniziative formative che avevo concepito. Niente di più bello per una persona che crede fermamente nel potere della formazione! Attualmente sto cercando di trasferire la mia esperienza e la voglia di non smettere di imparare a chi verrà dopo di me, nella speranza che progetti come il Diploma in Carpigiani continuino a essere conseguiti anche in altre realtà. Sono convinto che qualsiasi cosa venga fatta per tenere viva la speranza non sia mai uno spreco di energie.

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