“Taci”, punto! È la proposta di D’Annunzio ne
La pioggia nel pineto. Peraltro, mi è sempre sembrata piuttosto perentoria. Forse era un invito che rivolgeva a se stesso, prima che al lettore, visto che in quanto a parlare, non si è mai tirato indietro. In ogni caso, è
un’indicazione volta a favorire un contesto di attenzione e di ascolto, per poter assaporare il clima. Solo nel silenzio si può udire il suono della pioggia che cade “sui nostri vestimenti leggieri”.
Nelle organizzazioni le persone parlano, si muovono, si scambiano gesti e sguardi. Chi è attento raccoglie le impressioni di come ‘stanno’ le nostre aziende. Non è un compito facile, anche perché, tutti presi dalle urgenze e dalle scadenze, ci possono passare sotto il naso ‘elefanti di disagio’ che, silenziosi come fantasmi, prima o poi fanno danni a cui tocca mettere mano per evitare conseguenze peggiori.
Benvenute le indagini del clima, dunque, che ci consentono di fare il punto della situazione e mettere tra parentesi l’urgenza, per intercettare potenziali criticità che potrebbero causare stress e malessere organizzativo, con l’obiettivo, prima di tutto, di prevenire ed eventualmente eliminare o, quantomeno, contenere i fenomeni negativi.
Rimuginando su queste cose, mi sono interrogato sul significato delle parole che usiamo e su quale relazione possa esserci tra “clima” e “benessere”. Se i termini che utilizziamo per rappresentare la realtà hanno una o più direzioni immaginative che valorizzano le nostre esperienze, allora può diventare interessante sondarne gli effetti sulla nostra visione del mondo.
Certo, non è pratica semplice né scontata. Abitiamo l’epoca dei post, nel mondo ‘post moderno’, ‘post democratico’, ‘post secolare’, ‘post ideologico’ e così via. Secondo la mia prospettiva, nata nel mio piccolo mondo provinciale di ‘nanetto da giardino’, ritengo di vivere nell’epoca del post talk show, in cui
le parole sono diventate rumori Leggi tutto >