Aiwa, il welfare aziendale è una leva per gestire le persone

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Emmanuele Massagli, Presidente dell’Associazione italiana welfare aziendale

Ha da poco compiuto un anno e ora Aiwa affronta la sua sfida più importante: “Fare cultura sul tema del welfare aziendale per evitare che vinca una logica basata solo sul risparmio fiscale”. Parole di Emmanuele Massagli, Presidente dell’Associazione italiana welfare aziendale, che Persone&Conoscenze ha incontrato in esclusiva.

Circa 12 mesi fa, Aiwa diventava realtà: “Il 22 dicembre 2016 abbiamo depositato i documenti dal notaio e l’Associazione ha iniziato le attività il 1 gennaio 2017”, ricorda Massagli, che evidenzia come Aiwa riunisca13 player del mercato del welfare aziendale in una struttura molto snella, senza compensi, né dipendenti”. Per capire i motivi alla base dalla nascita dell’Associazione, serve però fare un passo indietro e partire da Adapt, l’associazione senza fini di lucro fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in un’ottica internazionale e comparata, studi e ricerche di lavoro, di cui Massagli è Presidente: “Alcuni dei soci fondatori di Aiwa avevano relazioni con Adapt proprio sui temi di welfare aziendale, soprattutto a seguito della legge di Stabilità 2016 che ha permesso al welfare di entrare nelle relazioni industriali”, ricorda il Presidente di Aiwa.

Fu proprio Massagli a proporre ad alcuni di questi player di valutare la possibilità di creare un’associazione in grado di “dare voce” a tutti i soggetti e di “diventare un interlocutore unitario, rappresentativo e credibile, in grado di confrontarsi con gli stakeholder”. E così è nata Aiwa, che riunisce tutti i modi di fare welfare aziendale e che per la prima volta è riuscita a far dialogare aziende apparentemente differenti: dai broker ai piattaformisti fino alle società specializzate in payroll, voucher e consulenza del lavoro. Oggi sono soci dell’Associazione: Aon, Assiteca, Cir food, Day Ristoservice, DoubleYou – Zucchetti, Easy Welfare, Edenred, Eudaimon, Mercer Italy, Welfare Pellegrini, Sodexo, Well Work, Willis Towers Watson. “Si tratta di player che coprono oltre l’80% delle quote di mercato”, puntualizza Massagli, che ricorda come ormai in Italia ci sia stata una ‘proliferazione’ di soggetti con proposte di welfare aziendale, tanto che una stima attendibile conta una novantina di player attivi.

Legge di Bilancio 2018: nuovo sostegno al welfare

Almeno all’inizio, Aiwa si è ritagliata un ruolo attivo come gruppo di “pressione” e progettazione legislativa, con l’obiettivo di “dare agli operatori del settore una rappresentanza istituzionale”: tra i risultati ottenuti, l’ultimo in ordine cronologico, è quello contenuto nella legge di Bilancio 2018, approvata a fine 2017 (Legge 205 del 2017). Nel testo approvato, infatti, ha trovato spazio una misura che incentiva l’utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto da parte dei lavoratori subordinati (lettera b, comma 28 dell’articolo 1): la legge prevede che le aziende dal 1 gennaio 2018 possano portare in deduzione le spese sostenute per il rimborso dei titoli di viaggio dei lavoratori dipendenti e che tali spese non concorrano a formare reddito da lavoro dipendente.

In pratica l’abbonamento ai trasporti pubblici diventa un compenso in natura esentasse che il datore di lavoro può decidere di erogare volontariamente, obbligatoriamente e inserire in un paniere di benefit per i dipendenti che beneficiano dei premi di risultato. “Già che il Legislatore abbia confermato l’impianto legislativo alla base del welfare aziendale è un segnale molto importante”, rileva il presidente di Aiwa. Inoltre, la novità contenuta nella legge di Stabilità che riguarda la mobilità è un altro successo del welfare aziendale: “Il fatto che sia entrata nella legge di Bilancio 2018 la possibilità per le aziende di godere dei vantaggi fiscali e contributivi per le spese sostenute al fine del trasporto dei dipendenti addirittura senza soglia è una conquista da non sottovalutare”, commenta Massagli, che ha lavorato proprio perché il Legislatore mettesse mano anche a questi temi nella stesura della legge.

D’altra parte, è nel Dna di Aiwa sostenere il welfare aziendale, tanto che nel suo statuto l’Associazione fa chiarezza anche su che cos’è il welfare aziendale, perché –non si dimentichi– che nella normativa italiana non esiste l’espressione “welfare aziendale”, ma si fa riferimento esplicito ai “benefici di utilità sociale”, ossia beni, prestazioni di opere e servizi aventi finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria e culto. Ecco perché Aiwa nel suo documento fondativo precisa: “Con l’espressione ‘welfare aziendale’ si identificano somme, beni, prestazioni, opere, servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese aventi finalità di rilevanza sociale ed esclusi, in tutto o in parte, dal reddito di lavoro dipendente”.

Massagli lancia quindi un appello per salvaguardare questo modello: “Il welfare aziendale non deve diventare un mercato di gare al ribasso, come fosse quello della concorrenza telefonica, ma deve essere funzionale alla trasformazione già in atto del rapporto di lavoro che si basa sulla fiducia tra azienda e lavoratori e sul clima partecipativo nell’organizzazione”. Una leva per la gestione delle persone Questo modello promosso da Aiwa è anche quello che la politica sta perseguendo sin dal 2016, quando con la legge di Stabilità ha cambiato le regole che determinano il reddito da lavoro dipendente, ampliando il novero delle erogazioni aventi finalità sociali, educative e assistenziali fiscalmente agevolate, promuovendo il welfare aziendale e di cui si ha evidenza pure in alcuni rinnovi dei Contratti collettivi nazionali, come quello dei Metalmeccanici o più di recente delle Telecomunicazioni che segue a quello degli Orafi, Argentieri e Gioiellieri: “Il Legislatore è intervenuto, dopo decenni di silenzio, sui profili fiscali di questa particolare disciplina e ha introdotto diverse e rilevanti novità che hanno stravolto l’efficacia –in modo positivo– della norma, rendendola molto più fruibile”, commenta il Presidente di Aiwa.

La successiva legge di Stabilità 2017 ha quindi confermato la strada intrapresa e l’ha addirittura ampliata, ribadendo la convinzione che le iniziative di welfare aziendale creino vantaggi sia per le aziende sia per i lavoratori. Questi ultimi, infatti, percepiscono un maggiore guadagno grazie ai servizi offerti rispetto a quanto potrebbero ottenere con i soldi percepiti in busta paga (che avrebbero una tassazione maggiore e l’obbligo di versamento dei contributi, a carico dell’impresa e dello stesso dipendente), mentre le aziende ottengono un miglioramento dell’ambiente di lavoro grazie a persone più motivate e quindi maggiormente produttive.

Proprio per questo la legge di Bilancio 2018 ha scelto di continuare sulla strada tracciata in precedenza, confermando –tra le altre cose– i bonus a sostegno delle famiglie (Bonus mamme domani; voucher baby sitter; buoni asilo nido; assegni di maternità), ampliando inoltre anche la platea dei beneficiari del Reddito di inclusione (Rei).

Altra novità riguarda il riconoscimento dei caregiver familiari: il Legislatore ha previsto l’istituzione di un Fondo a sostegno del ruolo di cura e assistenza per persone che per malattia, infermità, disabilità non sono più autosufficienti. “È però un errore pensare che il welfare aziendale sia nato dopo il 2016 e soprattutto per merito del Legislatore”, prosegue Massagli, secondo cui il welfare “non è neppure il prodotto della crisi”, quanto un mix di fattori.

Come è noto, infatti, sin dal 2008, grazie al caso Luxottica, si è iniziato a parlare di moderno welfare aziendale: fu l’azienda a introdurre servizi da offrire ai dipendenti nel ontratto di secondo livello al posto di compensi monetari. “I cambiamenti economici e la nuova composizione demografica hanno imposto un cambiamento nella natura del rapporto di lavoro”, argomenta il Presidente di Aiwa: “Se un tempo si ‘vendeva’ il tempo in cambio di un salario, oggi chi lavora è valutato sempre di più a risultato ed esige dalla azienda anche servizi: da qui il terreno fertile per la proliferazione del welfare aziendale”.

Uno scenario sul quale il Legislatore ha posto attenzione, creando le norme descritte che hanno permesso ai provider di ritagliarsi il proprio mercato, risolvendo anche il paradosso legato alla irragionevole contraddittorietà delle previgenti norme del welfare e di quelle del premio di produttività (risalenti al 1997): ora anche il welfare è “contrattabile” e dunque parte dello scambio di lavoro. “Il Legislatore ha certificato che il welfare aziendale è una leva di gestione del personale e un oggetto della contrattazione collettiva, in particolare di quella di prossimità”, spiega Massagli.

Coinvolgere il sindacato con un ruolo attivo

Ciò che emerge dopo i primi anni di diffusione del welfare aziendale è tuttavia uno ‘scollamento’ tra quanto immaginato dalla Direzione del Personale e l’effettivo utilizzo da parte delle persone: in pratica restano ancora troppi i dipendenti che preferiscono la retribuzione cash al posto dei servizi di welfare. “Si tratta di percentuali più basse di quanto certe ricerche hanno evidenziato”, commenta il Presidente di Aiwa, che spiega come ci siano casi di piani “fatti male” e quindi poco utilizzati: “La soluzione è inserire nel paniere servizi, beni e prestazioni che servano davvero alle persone dell’organizzazione; se si sceglie ciò che i dipendenti già posseggono o si inducono bisogni che non si hanno, allora questi preferiranno il corrispettivo monetario e considereranno il welfare una ‘fregatura’”.

Inoltre, la bontà del piano di welfare è, secondo Massagli, una “cartina di tornasole del clima aziendale e del rapporto tra azienda e sindacato, laddove presente”. Già, perché anche il sindacato è chiamato a giocare un ruolo attivo nella partita e, suggerisce il Presidente di Aiwa, “non dovrebbe limitarsi a firmare l’accordo”, ma dovrebbe “curare anche la tipologia di servizi inseriti nel piano, senza lasciare che siano decisi da un soggetto esterno”.

Molto spesso, infatti, i sindacati hanno criticato il welfare aziendale perché troppo sbilanciato verso il “welfare ricreativo” (tutti i servizi legati al benessere della persona e alla vita quotidiana come le palestre, per intenderci) che, a loro giudizio, “distrae dai bisogni primari delle persone”: “Questo succede perché i rappresentanti dei lavoratori non sono attenti agli aspetti di implementazione, ma puntano solo al risultato politico; invece il sindacato dovrebbe far emergere le necessità delle persone nell’organizzazione e contestualmente anche le potenzialità del territorio suggerendo i servizi per le piattaforme”.

Ma il ruolo delle sigle sindacali non finisce qui, secondo Massagli: perché nonostante l’azienda compia scelte ‘etiche’ sul fronte di welfare, è pur sempre il lavoratore a fare la scelta dei servizi. E quindi serve che il sindacato “faccia cultura”, perché la piattaforma –la tecnologia– è solo “uno strumento” che spetta poi all’azienda e ai lavoratori riempire e sfruttare al massimo. “Aiwa vuole offrire il suo contributo anche su questa tematica; fare informazione, formazione e cultura perché tutti i protagonisti del ‘processo del welfare’ siano in grado di costruire una offerta realmente rispondente alle esigenze delle persone: solo questo è garanzia non solo del successo del singolo piano di welfare, ma anche della affermazione definitiva nel nostro ordinamento di questa moderna leva di gestione del personale”.

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