Tag: lavoro in somministrazione

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L’Impresa imperfetta – di Francesco Donato Perillo –

Oggi ho avuto una di quelle giornate, in effetti sono anni che non ho due giornate uguali. Non so che mi succede, ma da allora -poteva essere il ‘90 o forse il ‘94, non ricordo, ma certo era fine secolo- da quando sono Capo del Personale ed ho una segretaria, i giorni hanno smesso di somigliarsi. Forse è la responsabilità, forse è la vita stessa del lavoro che si avvita intorno al caos delle richieste, delle mail, delle telefonate, delle riunioni a getto continuo. Si naviga sul filo dell’emergenza, tra onde che s’innalzano e si avvallano in successione compulsiva. Ieri l’AD mi ha tenuto praticamente in ostaggio fino alle 22, riunione gestionale. “Gestionale” la chiamano, ma si riferisce alla gestione dei programmi, perché quanto alla gestione del personale da anni non ce n’è mai traccia all’ordine del giorno, e neppure si trova un minuto in coda per parlarne. Non capisco la mia presenza ad avallare i numeri e ad annuire alle strigliate sonore del Capo ora a uno ora a un altro. Ieri però ho intuito, io c’entro e come! Nubi di piombo all’orizzonte, si sta profilando un buco di cinquanta milioni di euro, i nuovi contratti ci sono, ma non riusciamo ad onorare quelli vecchi, perdiamo margini su margini, più avanza il budget più perdiamo, diavolo. L’azionista ci farà fuori tutti quanti, ha detto il Capo. Ci vuole un piano credibile che lasci intendere a loro e alle banche una sterzata, di quelle che si sente la sgommata, chiaro? Chiaro, hanno ripetuto tutti in coro. E solo toccando la gente e pestando i piedi ai sindacati possiamo avere credito. Lei, – mi ha detto puntandomi l’indice di entrambe le mani – prepari lo stato di crisi e metta in pista le azioni di alleggerimento organici. A partire dai fancazzisti e dagli indiretti, chiaro? – ha aggiunto. Chiaro ho risposto. Oggi invece ho pensato di prendermela calma, una giornata di riflessione prima di buttarmi sulle azioni del piano industriale. Una riunione coi miei, e poi mi son messo due colloqui, uno prima di pranzo, uno al pomeriggio, non che fossero proprio necessari, ma ho preferito non assegnarli ai miei collaboratori, così, giusto per non perdere l’allenamento al contatto diretto coi vivi. Alle 12 ho ricevuto De Simone, ex operaio, lo passai impiegato nell’89 o forse prima, addetto import-erxport, indiretto amministrativo, informatizzato (lo dice la scheda). “Direttore, ho cinquantasette anni, il Governo salvitalia mi ha spostato il pensionamento di altri 6 anni, e va bene, io voglio, debbo lavorare, non c’è problema. Ma a causa della crisi mia moglie è stata mandata via dall’agenzia immobiliare, erano otto anni, lavorava a nero e sopportava ogni sorta di angherie, e stava zitta, mi capite? Mia figlia la più piccola ha dovuto interrompere gli studi e trovarsi un lavoro in un call center, per cinquecento euro al mese, prestazioni occasionali è scritto sul contratto. Mi capisce? Mia figlia la più grande ha finito l’università e col massimo dei voti non lavora e non studia. Dottore, mi capisca, non sopporto l’idea di non riuscire a mantenere la mia famiglia. Ho dato fondo ai risparmi, e mi resta solo la casa. Ora non sarò in grado neppure di pagare le tasse. Per gli altri, per quelli con gli stipendi a sei zeri, nessuna tassa gli cambierà la vita, per me sì. Ho venduto anche la macchina perché con quel che costa l’assicurazione e la benzina ora ci facciamo la spesa. Mi aiuti, la prego, se dovessi finire in cassa perderei quella poca voglia di vivere che mi è rimasta”. Capisco, gli ho detto, e mi sono recato in mensa con la testa bassa e le mani in tasca. Alle 15 ho ricevuto Fabio Fabbri, un neolaureato segnalatomi dalla Bocconi. Una boccata d’aria fresca. “Caro Fabio, ingegnere gestionale, vero? Vedo qui che lei si è laureato con la lode, con tesi sperimentale sui nuovi modelli di ingegneria logistica per la manutenzione degli impianti hi-tech. Benissimo, potremmo organizzarle uno stage qui da noi. Ma mi dica, mi dica lei delle sue esperienze post laurea”. “Guardi dottore, ho conseguito la laurea in quattro anni e una sessione, ma due anni fa. Sono ormai fuori termine per uno stage. Durante gli studi ho fatto vacanze in Irlanda, per frequentare un corso di lingua, a Dublino, e ho ottenuto li il Toefl. Certo ne ho scaricate casse di birra e ne ho serviti hotdog, ma mi sono pagato quest’esperienza. Per la tesi ho contattato una grande azienda di Milano che mi ha fatto lavorare in tirocinio formativo per 6 mesi, senza rimborso spese. Dopo la laurea mi hanno tenuto altri sei mesi con un rimborso di quattrocentocinquanta, lordi. Mi avevano assegnato a un nuovo progetto di gestione in global service degli impianti di un’importante azienda cliente, avevano ancora interesse alla mia collaborazione, ma con quei soldi ho deciso di pagarmi un Master in Business Administration e li ho lasciati. Qui da voi, considerando le peculiari caratteristiche dei processi, potrei candidarmi a gestire progetti anche complessi di industrializzazione dei prodotti, anche come supporto a un Project Manager esperto…”. “Vede, caro Fabbri, noi abbiamo urgenza di cambiare il mix: meno amministrativi indiretti, intendo dire, e più ingegneri diretti, meno ultracinquantenni e più ventenni. S’intende le offriremmo inizialmente un contratto a progetto, poi potremmo prorogare ed eventualmente prenderla come somministrato. In futuro potremmo anche considerare un tempo indeterminato senza articolo 18. D’altra parte che noia un lavoro fisso, non trova?”. Fissando la mia fede al dito, mi ha risposto “Chiaro, dottore”. Leggi tutto >

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