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di Mauro De Martini

A chi non è mai capitato di scendere in metropolitana e di incontrare qualche ‘musicista da trasporto pubblico’? Ce ne sono di tutti i tipi. C’è chi gironzola trascinandosi dietro un piccolo amplificatore che serve da orchestra, montato su un carrellino della spesa e alimentato da una batteria di automobile. Ci sono solisti, duetti o terzetti, fino ai quartetti. Talvolta c’è un violinista e una cantante. Altre volte è la fisarmonica ad accompagnare la solista. E che dire degli strumenti? Anche qui si spazia dalla chitarra amplificata agli archi, dal flauto al bandoneón, oppure ci sono ottoni di ogni tipo, così come percussioni di ogni genere. Sono privilegiati quelli facilmente trasportabili, ma non è sempre detto. Mi è capitato di vedere un tipo che suonava una spinetta, un altro che si era arrangiato con una tastiera a tracolla. Una volta mi sono imbattuto in un suonatore di organetto portatile. Che cosa incredibile! Scendi in metropolitana e finisci in un varco temporale che ti trasporta in pieno XIII secolo o anche prima. Si trovano addirittura suonatori di salterio!
A me piace sempre ascoltarli, tutti quanti. Mi danno gioia, offrono un pezzo della loro arte e la loro musica mi fa sentire meno solo in quel luogo affollato di tante monadi individuali. Alla fine girano chiedendo qualche soldo, ma generalmente lo fanno in modo rispettoso e non insistente. Ovviamente ci sono musicisti per tutte le stagioni: si possono ascoltare performance che non sfigurerebbero a teatro e altre un po’ sgarrupate, sia nella presenza scenica sia nella qualità ‘suonatoria’.
A uno di questi ‘liberi concerti’ ho assistito, per caso, insieme con un violinista concertista. Prendendo la metropolitana, abbiamo notato un giovane violinista che suonava il famoso Canone di Johann Pachelbel. Conosco quel pezzo perché l’ho studiato nella versione organistica, sudando un po’ di camicie (quando decido di eseguirlo in pubblico ho sempre un pizzico di timore, perché mi porta al limite delle mie –povere– capacità e temo di fare qualche pasticciata). In quell’occasione il giovane s’impegnava, ma faceva parecchi errori. Il commento del mio compagno di viaggio però mi stupì: “Quel ragazzo ha trovato una buona qualità del suono”. Mentre io mi concentravo sulle note, lui aveva lasciato in secondo piano l’esecuzione del brano per concentrarsi sulla qualità del suono.
Quell’episodio ha fatto pensare alla mia ‘testa organizzativa’ a quanti livelli possa essere osservata, o meglio, ‘ascoltata’ un’azienda. Indubbiamente conta la componente strutturale. Com’è fatta un’organizzazione? Qual è la sua configurazione?
Forse questo è il livello che noto di più. E, guarda caso, è anche quello che mi affascina nella musica. Sono molto interessato a sapere come sia la ‘forma’ di un’azienda, in maniera simile a come sono attratto dalla forma di una musica. Ma poi, lo sappiamo tutti, quest’ultima è composta di materia: il suono. Se la sua qualità è scadente, l’ascolto sarà sgradevole. Certamente conviene fare le note giuste. Questo va da sé. Anche perché, dopo una serie di note sbagliate, all’ascoltatore può venire il dubbio che la musica eseguita sia diversa da quella ‘dichiarata’ sul programma. Ma la qualità del suono è fondamentale e i musicisti lo sanno bene. Studiano ogni giorno per migliorarla.
Ora mi chiedo dove stia la qualità del suono in un’azienda. A volte mi sono detto che la materia dell’azienda consiste nelle persone che ci lavorano. Continuando su questo filo metaforico, deduco che uno dei compiti più importanti del Responsabile del Personale sia selezionare, cioè trovare la materia giusta per ‘fare azienda’, così come, per il musicista, uno degli obiettivi centrali dello sviluppo artistico è quello di ‘distillare’ il suono più bello per eseguire un brano.
In questo momento, ossia in questa fase della mia osservazione delle aziende, la mia attenzione è attirata anche da altro. La materia delle organizzazioni mi sembra più intangibile, ma non meno concreta. Ritengo stia nella ‘relazione’ tra le persone. Anche questo livello di osservazione porta con sé delle implicazioni sui compiti del management del personale. Non sto dicendo che siano poco importanti i pattern organizzativi o che selezionare le persone più adatte sia secondario, ma vorrei spostare l’accento sullo spazio che intercorre tra le persone. Entrare in questa dimensione –a questo livello– in modo competente conduce a una sfida che, oltre alla dimensione etica, assume sfumature estetiche. Come facciamo a dire che un suono è bello? Eppure quando ne sentiamo uno, riusciamo a distinguerlo da un altro brutto. Come facciamo a ottenere una buona qualità della relazione? 
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