Sviluppa le competenze trasversali e farai crescere dei buoni capi

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di Carlo Alberto Bisi

Poco tempo. Budget limitati. Troppa attenzione agli aspetti tecnici. Spesso i Responsabili delle Risorse Umane scelgono di giocare in posizioni strategicamente defilate. E perdono di vista la loro missione: lo sviluppo dei dipendenti. È, invece, compito di chi gestisce l’organizzazione stimolare la crescita delle competenze sia tecniche sia trasversali delle persone: un buon capo, infatti, è chi trova un equilibrio tra questi due aspetti e li padroneggia. Ma tocca al Direttore del Personale migliorare i percorsi di crescita del top/middle management: è questa la sua battaglia per fare il bene dell’azienda.

 

È ormai confermato da più parti quanto le competenze trasversali (note anche come soft skill) siano determinanti nell’efficacia di un top/middle manager. I ‘guru’ della Leadership relazionale come Covey, Blanchard, Goleman e Freedman sono concordi nell’affermare come le soft skill influenzino per almeno il 55% l’efficacia di un manager, relegando in una posizione di minoranza le mitiche hard skill (competenze tecniche).
Opero da 12 anni nello sviluppo di persone e dei team aziendali: la maggior parte delle richieste che da sempre mi arriva riguarda la crescita di ‘spessore’ manageriale, dal punto di vista della gestione delle persone, che è considerato uno dei più diffusi punti deboli dei manager italiani.
Il problema è che siamo un Paese di produttori e di produzione, quindi la focalizzazione massima è sul prodotto e sui processi produttivi, su come ottimizzare e rendere sempre più efficienti e profittevoli i processi legati allo sviluppo del prodotto. Questo nonostante sia ormai chiaro che il prodotto non è più un fattore differenziante: questi ultimi anni di scenari un po’ complicati ci insegnano che avere un prodotto affidabile e tecnologicamente innovativo è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per mantenere accettabili livelli di competitività. Molti hanno prodotti innovativi, tecnologicamente avanzati e affidabili, eppure hanno problemi di crescita e fanno un po’ fatica a far percepire al cliente il ‘valore’ della propria soluzione.

Ottimo professionista non significa buon capo
Per quale motivo parlo di competenze trasversali e di prodotto? Quale legame possiamo trovare tra questi due aspetti? Il motivo è semplice: la mia esperienza nelle aziende italiane mi porta ad affermare che anche le competenze tecniche di un manager, così come il prodotto per un’azienda, sono necessarie, ma non bastano più per interpretare correttamente una posizione manageriale negli attuali scenari. Siamo un Paese che sceglie i ‘capi’ principalmente per competenze tecniche. Il punto è che, in questo modo, si perde l’apporto di un ottimo professionista, ma non è assolutamente detto che si guadagni un buon capo. E il motivo è ancora più semplice: le caratteristiche che servono per svolgere con efficacia un’attività aziendale sono diverse da quelle che servono per interpretare correttamente –e in modo completo– il ruolo di capo. Sviluppare le competenze trasversali in modo efficace è la vera sfida manageriale di oggi: Blanchard sostiene che le persone non lasciano le aziende, lasciano i capi! Per contro, potrebbe essere un errore focalizzarsi esclusivamente sulle competenze trasversali: nell’attuale scenario il capo è chiamato a prendere decisioni strategiche, in termini di prodotto/servizio/mercato, che non possono prescindere da una adeguata conoscenza e competenza tecnica.
Credo che la sfida del top/middle management italiano dei prossimi anni sia trovare e mantenere l’equilibrio tra lo sviluppo delle competenze tecniche e lo sviluppo delle competenze trasversali: le une non possono prescindere dalle altre.
Prendere una decisione riguardo a un prodotto da sviluppare, un servizio da offrire o un mercato da aggredire ha una forte attinenza con le competenze tecniche. Mi torna alla mente uno dei top manager di BlackBerry che vedendo in anteprima il prodotto del concorrente Apple sentenziò: “È senza tasti, non ha futuro!”.
Per contro, farsi seguire dal team azienda nel suo insieme, creare coinvolgimento e responsabilizzazione, avere fiducia nella capacità delle proprie persone, ascoltarle e accompagnarle nel percorso di cambiamento di abitudini, è possibile solo in presenza di competenze trasversali adeguatamente sviluppate.
Possedere e padroneggiare le competenze tecniche e quelle trasversali è la più grande dote per un capo: in certi momenti di mercato devono prendere spazio le une, in altri scenari di mercato è necessario rendere protagoniste le altre.
Vedo mercati in grande evoluzione e manager –o imprenditori– che parlano solo di prodotto e passano giornate chiusi in azienda a pensare nuovi modi di vendere lo stesso prodotto o, concettualmente, uno molto simile. Perché? Probabilmente il prodotto (o comunque ‘l’area tecnica’) rappresentano la zona di confort –oltretutto si può fare comodamente in azienda– mentre comprendere il processo decisionale del cliente e conoscere nel dettaglio la propria concorrenza si può fare solo ascoltando i collaboratori che sono sul mercato, oppure recandosi personalmente dai clienti per apprendere le nuove leve motivazionali all’acquisto. Il problema è che non siamo abituati a farlo, quindi siamo fuori dalla zona di confort: là fuori piove, soffia vento forte e fa freddo, dunque ci si sta scomodi, soprattutto per chi non ha correttamente sviluppato le competenze trasversali, necessarie per ascoltare e mettersi in discussione.

Crescita: il top management dia l’esempio
Due esempi per chiarire meglio: un imprenditore emiliano a capo di un’azienda metalmeccanica con 120 dipendenti, chiedendo il nostro intervento era molto attento a tenere ben separata la proprietà (lui e un socio di minoranza) dal resto dell’azienda e parlava sempre in termini di “noi e loro”, quasi come un re con i suoi sudditi: “Sono importanti, li conosco bene uno per uno, conosco le loro famiglie, ma se vogliamo uscire dalla crisi ‘loro’ devono cambiare, perché ‘noi’ sappiamo esattamente cosa fare e come farlo”. A distanza di tre anni, l’azienda è stata acquisita da un suo competitor, il socio di minoranza è diventato Direttore Generale, mentre il ‘re’ è stato liquidato.
In un altro caso, un imprenditore a capo di una azienda –sempre metalmeccanica con 250 dipendenti in Centro Italia– ha capito che serviva un profondo cambiamento di visione, comportamenti e abitudini. Quando ci siamo incontrati mi ha detto: “Serve un cambio di direzione, se non inizio io per primo sarà più difficile farmi seguire, quindi comincio con il training e il coaching e stia sicuro che ci seguiranno tutti”. Oggi la sua azienda è tornata a produrre risultati a livelli ante 2008.
Questo è il punto: quando interveniamo in azienda a livello di seconde e terze linee, sempre più spesso ci sentiamo dire: “Ma i nostri capi lo hanno fatto questo training? Serve più a loro che a noi!” .
Allora, per riassumere, tre punti cardine: sviluppare le competenze trasversali; mantenerle in equilibrio con le competenze tecniche; iniziare questo percorso di crescita e sviluppo dall’alto (dalla proprietà e dal top management).

Tornare a pensare allo sviluppo delle persone
Ma qual è la funzione aziendale chiamata a dare risposta a questa tematica, definendo e monitorando i percorsi di crescita e sviluppo? Ecco che esce di prepotenza il ruolo del Direttore o Responsabile delle Risorse Umane. Ed anche qui possiamo aver la necessità di un rapido cambiamento di abitudini.
In molte realtà aziendali medie e medio-grandi, il Direttore Risorse Umane è focalizzato su aspetti tecnici della gestione delle persone, quindi prevalentemente amministrativi, contrattuali, legali e sindacali e dedica –in alcuni casi forzatamente– meno tempo e poco budget allo sviluppo organizzativo e alla crescita delle persone e dei manager aziendali. Quante volte mi sono sentito dire: “Interessante, ma i nostri manager non hanno tempo per questo tipo di percorsi”.
Il Direttore Risorse Umane ha, per ruolo, la responsabilità dello sviluppo delle persone e dei manager; è una responsabilità strategica che va interpretata in modo strategico. Significa che questo compito non può più essere interpretato in modo ‘attendista’ (approccio tipico di una posizione di staff), ma deve essere fatto in trincea, a lottare per lo sviluppo delle persone, certo che senza una adeguata preparazione nessun manager, middle o top che sia, può essere in grado di guidare il proprio team in uno scenario complesso come quello attuale. Il fatto è che non è usuale vedere questa interpretazione del ruolo: ci sono Direttori del Personale con un approccio sempre più ‘soft’, quasi a non voler interferire con le strategie ‘vere’ (economiche e produttive), relegandosi ogni giorno di più in una posizione strategicamente defilata.
È una questione di responsabilità: chi si occupa di sviluppo organizzativo ha la responsabilità di preparare profili manageriali (top e middle) dal punto di vista sia tecnico sia relazionale. L’attuale scenario non premia chi si accontenta: avere un management forte negli aspetti tecnici e debole negli aspetti relazionali equivale ad accontentarsi, accettando di essere meno competitivi rispetto a chi supporta i propri manager su entrambi i fronti. Se la mentalità aziendale non è abituata a questo tipo di approccio, il Direttore Risorse Umane dovrà trovare il modo per implementare questo cambiamento, a costo di mettere in discussione il proprio ruolo.

Le competenze trasversali incidono per il 55%
Lavoro da sempre direttamente con gli imprenditori, prima nella mia esperienza aziendale, ora come Consulente di Direzione e Professional Coach, e ho molto chiaro cosa significhi far valere il proprio punto di vista con un imprenditore che, a volte, tende ad avere un approccio piuttosto ruvido. Forse il punto sta in una convinzione limitante: sviluppare le competenze trasversali di un manager è una attività meno prioritaria rispetto ad altre, quindi la si imposta quando c’è spazio, tempo e budget. Oggi non è più così: sviluppare le competenze trasversali significa operare direttamente su ciò che incide sull’efficacia di un manager per oltre il 55%, quindi è un fattore economico che incide direttamente sulla redditività e produttività dell’azienda. E, se siamo di fronte a un fattore economico che migliora la redditività aziendale, lo spazio, il tempo e il budget devono essere trovati a ogni costo. Ed è per questo che esiste il ruolo strategico del Direttore Risorse Umane. L’imprenditore non accetta che un suo impianto lavori al 50% del potenziale, perché significa buttare i soldi dalla finestra: allora perché ci stiamo abituando ad avere persone che sopravvivono in azienda in questo modo? E che dire dei costi che ne derivano?
Il Direttore del Personale deve abituarsi a capire che le conseguenze del suo lavoro non sono soltanto organizzative e contrattuali, ma sono anche economiche, ed è questo il punto di vista più facilmente comprensibile per un imprenditore o per un Amministratore Delegato. Una ricerca pubblicata recentemente dal Corriere della Sera riportava un dato che ritengo importante: il 62% dei manager (top e middle) viene scelto da imprenditori e Amministratori Delegati sulla base delle proprie conoscenze personali, sul passaparola e sulle proprie referenze personali; la logica è far prevalere ‘la persona di fiducia’ rispetto a chi, oggettivamente, è più idoneo per l’incarico. Il Direttore del Personale che accetta questo tipo di inserimento, senza lottare con tutte le sue forze e con tutte le leve a sua disposizione, rischia di non fare il bene della sua azienda.
Sensibilizzare l’imprenditore o l’Amministratore Delegato e fornire una risposta efficace per rendere più preparati i propri manager e le proprie persone, è responsabilità diretta dei Direttori del Personale ed è ciò su cui devono lottare ogni giorno; uscire dalla zona di confort per entrare in quella di sfida dello sviluppo delle persone è la madre di tutte le battaglie per un Responsabile delle Risorse Umane.

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