Uno sguardo critico sulla formazione. È tempo di definire nuovi contenuti

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di Marcella F. Luque e Lorenzo Calandri

In uno scenario in continua evoluzione anche la formazione deve adeguarsi per confermarsi uno strumento utile alle persone che compongono l’organizzazione. La sfida delle aziende è coinvolgere le risorse umane per gestire i cambiamenti in atto, gravando il meno possibile sulla produttività, ma utilizzando modalità che garantiscano l’immediata spendibilità dei contenuti.

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Nulla sfugge a questa crisi che sembra non finire mai e la formazione non è di certo l’eccezione: questa fase, infatti, sta conducendo le aziende a rivalutare e ridefinire i programmi formativi. Su questo non c’è nessun dubbio: il nodo è, invece, capire cosa vogliamo diventare e verso dove vogliamo orientarci.
In passato fare formazione prendeva una forma strettamente quantitativa: ore erogate, quantità di persone coinvolte e modalità di scelta dei fornitori di formazione; i contenuti e la spendibilità di essi non erano un motivo di preoccupazione. Oggi al contrario si aggiunge una nuova variabile a lungo trascurata: la creazione di valore. E per questo bisogna partire della riduzione dello spreco. In quest’ottica è giusto ritenere che non c’è spreco maggiore che fare molto bene qualcosa che non c’è bisogno di fare. Questo sembra essere il trend prevalente che caratterizza la formazione aziendale dei nostri giorni portando a incidere direttamente sulla condotta degli attori coinvolti e sulla creazione di nuovi paradigmi.

Meno spreco e più valore
In materia di formazione aziendale gli attori che hanno un notevole peso specifico nello sviluppo di ogni progetto formativo sono: aziende, dipendenti e collaboratori e l’ente erogatore della formazione. Sempre nell’ottica della riduzione dello spreco come contributo alla creazione di valore, le organizzazioni di oggi sembrano orientarsi verso una formazione meno quantitativa (riducendo notevolmente, anno dopo anno, la quantità di ore formative) ed esigendo di essere coinvolte in modo più diretto e più attivo nei contenuti con una notevole prevalenza per gli aspetti gestionali rispetto a quelli tecnici. Allo stesso tempo i dipendenti e i collaboratori beneficiari della formazione supportano questa linea in quanto spesso le richieste di incremento in termini di competenze professionali sembrano aumentare e diversificarsi notevolmente.
Le diverse realtà che offrono formazione manageriale si trovano quindi davanti a una, non indifferente, richiesta di cambiamento che si lascia dietro il vecchio paradigma so-stituendolo con uno nuovo basato sulla innovazione e sulla concretezza.
Naturalmente, l’innovazione va intesa in termini di modalità di erogazione dei contenuti sia tramite l’inserimento di nuove tecnologie che gravino il meno possibile sul tempo dedicato alla produttività, sia sui contenuti stessi che vengono erogati in quanto essi devono essere trasmessi in diverse modalità che garantiscano un’immediata spendibilità.
Una risposta concreta a tutto ciò richiede un notevole impegno da parte dei diversi operatori in materia di formazione manageriale. Questa richiesta di cambiamento sicuramente comporta da un lato l’inserimento di modalità tecnologiche e multimediali che consentano di fornire soluzioni formative più innovative e, dall’altro, l’incremento nell’utilizzo delle stesse nelle lezioni frontali. Per quanto effettiva possa essere, questa iniziativa rischia di essere una soluzione parziale se non accompagnata da una profonda riflessione e ridefinizione dei paradigmi che, fino a oggi, hanno guidato lo sviluppo della formazione manageriale nei contesti aziendali.
Se questa fase di analisi venisse a mancare, il rischio è di ritrovarsi ad aver effettuato una semplice sostituzione di strumento (formatore o tecnologia) quando in realtà il ricettore del messaggio necessita di andare ben oltre. Si finisce così nella rete di una comunicazione diretta di tipo unilaterale che rischia di trovare uno scarso riscontro in un mercato come quello attuale.

Formazione concreta e applicata
La richieste formative di oggi, a livello manageriale, si allontanano dagli aspetti tecnici spostandosi verso quelli gestionali di indole molto più trasversale.
L’utente attuale, infatti, ha un alto profilo tecnico, molto informato e consapevole sugli aspetti che ha bisogno di migliorare e che richiede un elevato grado di concretezza nella formazione per orientare il cambiamento, oltre che strumenti e modelli che gli diano le garanzie per raggiungere l’obiettivo voluto. A tutto ciò si aggiunge il fatto che è di solito l’organizzazione a richiedere per i propri dipendenti la formazione che a essi serve sempre nell’ottica dei rispettivi obiettivi aziendali incrementando in questo modo il bisogno di concretezza.
In questo senso la formazione non può che essere meno accademica e unilaterale rendendosi più concreta e incisiva sia nei contenuti sia nella modalità con la quale è erogata.
Nel processo comunicativo che avviene durante l’erogazione della formazione il ricettore del messaggio non è più un soggetto passivo che intende avvalersi di un messaggio (in termini di contenuti) che prima ignorava e che deve essere trasmesso in modo teorico e unilaterale; è, invece, un soggetto che necessita di un’alta dose di interattività. Questa, sommata alla prevalenzadel contenuto del messaggio, costringe il formatore a diventare, a sua volta, molto più attivo di quanto prima non fosse richiesto e di esercitare l’azione in modo diverso.
Concretamente, oggi ci si trova davanti a una platea con alte competenze tecniche che richiede non tanto l’erogazione di contenuti teorici che, visto il proliferare delle nuove tecnologie, sarebbe perfettamente in grado di acquisire anche da sola, ma che esige strumenti in grado di mettere le persone di potersi confrontare sulle proprie difficoltà e discrepanze riscontrate –sempre nel fare– allo scopo di trovare alternative valide e sostenibili alle azioni precedenti. È questa la sfida che ha il peso maggiore e alla quale la formazione di oggi si trova a dover dare una risposta soddisfacente. E si tratta di una risposta che va oltre i contenuti e che richiede risorse in grado di erogarli sotto modalità innovative da un punto di vista tecnologico e concreto da un punto di vista materiale. È una sfida che, in ottica di collaborazione, nasconde il desiderio di modalità di formazione più vicina all’affiancamento che alla sola trasmissione della conoscenza.
La figura del docente-possessore della conoscenza lascia quindi spazio a quella del formatore che collega la propria autorevolezza tecnica a una comunicazione più innovativa e che, soprattutto, sia in grado di affiancare i partecipanti eseguendo come parte prevalente della propria attività l’esercizio e la messa in pratica costante della disciplina che vuole trasmettere attraverso le proprie competenze. In questo modo la formazione non insegna, ma apporta modelli e strumenti di concreta applicazione ed è aperta a un costante confronto nel processo di cambiamento.

Oltre le competenze tecniche
Il management di oggi si trova a dover rispondere a sfide non indifferenti che non possono essere risolte solamente con il contributo delle competenze tecniche. C’è indubbiamente una formazione pregressa di tipo tecnico acquisita in precedenza che funge da prerequisito per ottenere competenze più trasversali e modelli in grado di condurre a svolgere il lavoro in modo più strutturato e organizzato che miri alla riduzione degli sprechi e alla creazione di valore.
Chi oggi si trova a dover ricoprire una posizione di responsabilità all’interno di un’organizzazione scopre sin da subito che le competenze tecniche richieste sono il minor problema da affrontare: la gestione del cambiamento, dei rischi e dei diversi stakeholder in contesti complessi e l’obbligo di dover produrre risultati concreti e sostenibili creano un nuovo scenario nel quale spesso le competenze tecniche, pur essendo di notevole aiuto, potrebbero rivelarsi non del tutto sufficienti.
Ecco allora che lo scenario conduce a valutare le discipline di tipo gestionale come strumenti per veicolarel’innovazione e il cambiamento e condurre al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Non è di certo un caso che negli ultimi anni la richiesta di formazione sul Project Management sia cresciuta in modo esponenziale fino a raggiungere alcuni campi che vanno oltre quelli più tradizionali: la gestione progettuale non si riduce oggi solo al campo dell’ingegneria, ma riguarda diversi settori merceologici come quello dell’informatica e della comunicazione. In aggiunta, le competenze gestionali non vengono solo richieste al gestore del progetto, ma anche a tutte le tipologie di manager funzionali perché forniscono metodi e strumenti di concreta utilità e spendibilità in un contesto di cambiamento che, indubbiamente, coinvolge tutta l’organizzazione.
Ed è proprio questo coinvolgimento trasversale un altro punto di attenta riflessione da parte delle imprese. Nel contesto attuale, segnato da costanti cambiamenti, di ritmi velocissimi e di un alto livello d’incertezza, la gestione delle persone oltrepassa le relazioni industriali di una volta per costituire un tutto che comprende al suo interno l’individuo come portatore di una competenza specifica e contemporaneamente come parte vitale di un’organizzazione. Si percorre quindi la sfera dello sviluppo organizzativo nel quale tante imprese stanno già facendo i primi passi.

Una sfida da affrontare
Accettare questa sfida ed esserne parte comporta un alto livello di impegno da parte delle organizzazioni e dei diversi operatori di formazione che popolano il mercato. Le prime sono chiamate a essere coinvolte nel processo di cambiamento organizzativo fino in fondo in quanto i beneficiari della formazione sono comunque le persone che compongono l’azienda e che non potrebbero generare-gestire il cambiamento se il contesto in cui operano pone qualche resistenza. Agli operatori della formazione rimane, invece, il compito di fare una profonda analisi e individuare una definizione legata sia alla tipologia dei contenuti sia alla modalità di erogazione degli stessi. Certamente una sfida non da poco: a ognuno di noi il compito di decidere se farne parte.

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