|rubrica| Jobs Act

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Di Francesco Donato Perillo

Articolo di 18 o meno, le gloriose conquiste del mondo del lavoro non sono state archiviate dal Jobs Act, ma dall’economia post industriale. Nel mondo globalizzato sono le interrelazioni tra i mercati a dettare le forme, i tempi e le scelte: nulla può fermare il rullo compressore dell’obsolescenza, l’imperativo di adattarsi velocemente al rimpiazzo di regole, norme, modelli ereditati dal Novecento con modalità fino a ieri ritenute discutibili se non inammissibili. Il mostro dell’obsolescenza agisce come un cancro che non colpisce solo i prodotti e i processi, attacca anche le regole e le conquiste sociali. Per tenere il passo di questi cambiamenti è vano creare fortini o riserve indiane: occorre issare per tempo le vele al vento, e navigare nella tempesta con la fiducia che i veri marinai hanno nei propri mezzi, attraversando l’occhio del ciclone, come la nave del tifone di Conrad. Questo vento tutto spazza via, a partire dai vecchi schemi con cui interpretavamo il mondo. Si perdono le conquiste di ieri e non c’è più rendita per nessuno, né per l’impresa né per il sindacato, perché come sostiene Recalcati1 siamo entrati nell’era della “evaporazione del padre”. Del tramonto dell’autorità e delle obbedienze, della dissoluzione della potenza della tradizione.

cooperative_learningLa perdita dell’immunità al licenziamento con o senza giusta causa è un dato dell’economia della connettività, non c’è difesa. Il mondo perduto del lavoro protetto deve invece farci aprire a conquiste nuove e diverse. Il contratto unico a tutele crescenti è una conquista nuova se rimpiazza il caos delle multiformi tipologie contrattuali, se riduce il contenzioso, se supera la insostenibile divisione del mondo del lavoro tra tutelati e indifesi. Ma non può bastare, se la vera sfida di questo tempo non è creare norme attraverso le norme, ma creare lavoro attraverso il lavoro. È una partita che non si gioca in parlamento né si risolve per decreto legge.

Si gioca in ogni luogo di lavoro, sul territorio, fabbrica per fabbrica, alla conquista di un contratto che solo in eccezionali casi e per brevi momenti è stato talvolta ottenuto: il contratto psicologico, quel patto non scritto che solo può legare i destini comuni dell’imprenditore e delle sue risorse umane, e generare altro lavoro. Essere employer of choice, un datore di lavoro che si fa scegliere ogni giorno dai suoi dipendenti: un patto che si rinnova tacitamente ogni volta che siamo responsabili nei confronti del nostro personale, dei nostri uomini e delle nostre donne ovunque essi operino e qualunque ruolo rivestano; ogni volta che la dignità e il valore della persona sono resi tangibili da una gestione trasparente ed equa perché basata su regole e criteri espliciti; ogni volta che la fiducia viene usata come collante profondo dell’organizzazione.

È qui il Jobs Act che ci fa rimboccare le maniche e tirare fuori straordinarie energie per raggiungere gli obiettivi e soddisfare i clienti oltre ogni aspettativa. Un’impresa di dipendenti tutelati dal contratto psicologico crea altro lavoro perché produce valore. Non licenzia, perché non ne ha motivo né convenienza. Non c’è Jobs Act che possa produrla.

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