Rappresentanza sindacale, riuscirà l’Accordo interconfederale del 2014 a svecchiare le relazioni industriali?

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di Ernesto Di Seri

“La sovranità, in una relazione, non è di nessuno dei suoi componenti singolarmente preso, ma della relazione stessa”.
Questa stringata affermazione di Benedetto Croce costituisce, nella sua forma così efficace in termini di sintetica ma profonda verità, il miglior presupposto per rammentare la perdurante importanza della funzione etico-sociale della rappresentanza di interessi collettivi. Di conseguenza emerge la necessità che tale funzione venga svolta non in modo anarchico e disomogeneo, bensì all’interno di un quadro di regole stabile, predefinito e ben disciplinato in tutte le sue possibili articolazioni, con primario riferimento al principale strumento utilizzabile per la sua attuazione, cioè la contrattazione collettiva, attraverso la quale la ‘relazione’ tra i soggetti che ne sono protagonisti trova di fatto il suo ‘equilibrio sovrano’.
Ciò vale a maggior ragione in un’epoca in cui i cosiddetti ‘corpi intermedi’ (che sono tradizionalmente definiti, in materia di lavoro, come ‘parti sociali’) stanno attraversando un periodo di significativo cambiamento, apprestandosi probabilmente a un’evoluzione, nel loro ruolo sia politico sia tecnico, tra le più rilevanti nella storia della nostra Repubblica.
In questo contesto assume pertanto particolare importanza l’Accordo interconfederale (Ai) del 10 gennaio 2014 sottoscritto da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil meglio noto come “Testo Unico sulla Rappresentanza”. Proprio perché finalizzato a incidere profondamente su una delle primarie attività delle parti sociali (per l’appunto quella di rappresentare a tutti i livelli gli interessi di datori di lavoro e lavoratori) vale la pena di occuparsene nel momento in cui tale accordo si approssima a entrare effettivamente nel vivo, essendo il 2016 l’anno nel quale dovrebbe, per così dire, andare a pieno regime il suo funzionamento. Si procederà quindi di seguito (ovviamente nei ristretti limiti di spazio disponibili per questo articolo) a illustrare alcuni aspetti fondamentali di questo innovativo “patto interconfederale”.

La regolamentazione di quattro aree
L’accordo definisce una disciplina negoziale coerente e compiuta (valida per la parte sicuramente preponderante dell’intero mondo industriale) della funzione di rappresentanza, sulla scorta dei principi già delineati nel vecchio accordo interconfederale del 20 dicembre1993 nonché nei più recenti accordi del 28 giugno 2011 e protocollo d’intesa del 31 maggio 2013.
A dimostrazione dell’ampiezza del suo contenuto e della filosofia di strumento primario per la sistemazione stabile della materia, onde farne il cardine delle future relazioni industriali, l’accordo si suddivide in ben quattro parti molto articolate (corroborate da norme transitorie e finali di sostegno all’impianto complessivo) e ciascuna di esse è integralmente destinata a regolamentare una tematica specificamente circoscritta sotto il profilo tecnico.
Le quattro parti sono:
• misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria;
• regolamentazione delle rappresentanze in azienda;
• titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale;
• disposizioni relative alle clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole sulle conseguenze dell’inadempimento.
La prima parte del testo unico è quella destinata ad attuare concretamente quel sistema di misurazione della rappresentanza sindacale, a livello nazionale, concettualmenteimpostato nel protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 e divenuto parzialmente operativo dopo la stipulazione, nel marzo 2015, dell’apposita convenzione con l’Inps prevista dall’Ai in commento (mentre non hanno ancora trovato piena attuazione i punti dell’Ai dove si rimanda all’intervento del Cnel, ente di fatto in via di abolizione con possibile intervento ‘sostitutivo’ dell’Inps anche in questo campo). Secondo le nuove regole quivi codificate, quindi, dovrebbe debuttare sul palcoscenico delle relazioni industriali un nuovo sistema di misurazione della rappresentanza (a livello nazionale) fondato sul calcolo della media tra il dato associativo (entità numerica delle deleghe sindacali rilasciate dai singoli lavoratori) e il dato elettorale (numero di voti raccolti dalle liste presentate dalle organizzazioni sindacali in sede di elezioni, in ogni unità produttiva con almeno 16 dipendenti, della cosiddetta Rsu – Rappresentanza sindacale unitaria).
Va tenuto peraltro conto che le imprese, per quanto concerne il dato associativo, dovranno accettare anche le deleghe rilasciate a organizzazioni sindacali “non firmatarie” dell’Ai del 2014, ma comunque rivelatesi successivamente interessate a ‘farsi misurare’ secondo le nuove regole dettate da tale accordo (la misurabilità è peraltro condizionata a una loro espressa adesione formale all’accordo con annesso obbligo di rispettarne integralmente i contenuti, obbligo che si estende in tal senso anche ai contenuti dell’Ai del 28 giugno 2011 e del protocollo d’intesa del 31 maggio 2013).

Il meccanismo di rilevazione delle deleghe
In base alla convenzione firmata con l’Inps la rilevazione (annuale) del numero delle deleghe raccolteda ogni organizzazione sindacale avverrà tramite un peculiare meccanismo tecnico sostanzialmente improntato sulla compilazione ‘telematica’, a cura del datore di lavoro, di una sezione ‘ad hoc’ del modello ‘Uniemens’, tenendo presente che i dati andranno riferiti alle Federazioni sindacali di categoria che hanno stipulato il Ccnl applicato in azienda e che in tale modello – solo per le imprese con più di 15 dipendenti – dovrà essere pure indicata la forma di rappresentanza interna dei lavoratori (se esistente) già operante in azienda (Rsu ex Ai del 20 dicembre 1993 o Rsa ex articolo 19 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, meglio nota come Statuto dei lavoratori). L’Inps procederà in seguito all’elaborazione del dato ‘nazionale’ raggiunto da ogni categoria in forma di ‘media mensile’ e lo trasmetterà al Cnel (così almeno prevederebbe l’accordo) affinché possa essere effettuata la ponderazione con il dato elettorale, cioè con la quantificazione dei voti ricevuti dalle organizzazioni sindacaliin sede di elezione della Rsu come rilevabili dai singoli verbali di elezione (compilati da un’apposita commissione elettorale come previsto dalla parte terza del testo unico). I verbali devono essere raccolti, per ogni provincia, dal Comitato dei garanti (deputato ad aggiornare annualmente i dati raccolti e a inviare al Cnel le ‘risultanze matematiche’ di tale operazione, relativa alle Rsu validamente in carica al 31 luglio di ogni anno, elaborate per ciascuna organizzazione sindacale di categoria). Sarà lo stesso Comitato dei garanti, pertanto, a trasmettere al Cnel gli esiti entro il mese di gennaio dell’anno successivo, quale comunicazione necessariamente propedeutica, ovviamente, alla successiva attività di ponderazione con il dato associativo (con riferimento a ogni singolo Ccnl di categoria) secondo il criterio della ‘media semplice’ (con peso quindi del 50% per ciascuno) tra i due dati.
Al termine di questo complesso calcolo il dato finale risultante verrà reso noto alle parti stipulanti il Testo unico, consentendo in tal modo a ogni organizzazione sindacale coinvolta di avere finalmente piena contezza del proprio tasso di rappresentatività a livello nazionale. Trattasi di elemento fondamentale in particolare per stabilirne la reale ‘titolarità’ a partecipare alla contrattazione collettiva, come disciplinata e ‘armonizzata’, nei suoi vari livelli, sulle materie individuate dall’Ai del 28 giugno 2011 (per il contratto aziendale) e dal protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 (per il contratto nazionale). Quanto appena riepilogato va peraltro a connettersi intimamente con il contenuto della seconda parte del Testo unico, ove trova puntuale aggiornamento la previgente normativa interconfederale richiamata in precedenza con riferimento alle modalità di nomina della Rsu in ogni unità produttiva con almeno 16 dipendenti.

Stop alla coesistenza tra Rsu e Rsa
Le principali novità in proposito sono così riassumibili. In primis viene riaffermata con nettezza assoluta l’impossibilità di coesistenza di una Rsu derivante dalle nuove procedure interconfederali totalmente elettive (prima la Rsu era per i due terzi dei suoi componenti di derivazione elettiva e per il residuo terzo di nomina sindacale) con Rsa designate direttamente dai sindacati in possesso dei requisiti per la nomina ex articolo 19 legge numero 300 del 1970, essendo ribadito a chiare lettere nel Testo unico il ‘privilegio’ condiviso per il sistema della Rsu; tanto è vero che le organizzazioni sindacali firmatarie o aderenti all’accordo rinunciano per ciò stesso alla possibilità (anche in futuro) di nominare proprie Rsa.
Rimane solo l’attuabilità di soluzioni transitorie in imprese ove fossero prima operanti solo le Rsa e forse 
perciò necessario accompagnare gradatamente il passaggio di sistema in oggetto. È stato altresì precisato come operare in caso di trasferimento d’azienda che determini un rilevante mutamento nella composizione delle unità produttive interessate (nuova elezione della Rsu entro tre mesi dal trasferimento e, nel frattempo, ‘prorogato’ della vecchia Rsu), ma soprattutto si è stabilito che il potere d’iniziativa elettorale non è in alcun modo riconoscibile a organizzazioni sindacali che non appartengano a confederazioni firmatarie o del Testo unico o del Ccnl applicato in azienda, salvo che accettino “espressamente e formalmente” di aderire all’intero sistema tripartito in cui si articola la normativa interconfederale in commento (cioè Ai del 28 giugno 2011, protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 e, per l’appunto, Ai del 10 gennaio 2014). Con altrettanta incisività è stato inoltre dichiarata la composizione integralmente elettiva della Rsu e l’attribuzione dei relativi seggi secondo il criterio proporzionale, con utilizzo del metodo dei resti più alti.
Risulta infine particolarmente innovativa e significativa (poiché pone, presumibilmente, per il futuro, una pietra sopra uno dei fattori di maggior contenzioso sorti in relazione al vecchio Ai del 1993, laddove nulla era precisato in proposito) la clausola concernente il cosiddetto ‘cambio di casacca’, che codifica senza possibilità di equivoco la decadenza dalla carica di componente della Rsu (con automatica sostituzione con il primo dei non eletti della lista di cui faceva parte il membro decaduto) che abbia nel frattempo mutato la propria appartenenza sindacale, iscrivendosi a un’organizzazione differente da quella presentatrice della lista in cui era stato inizialmente eletto.

Contrattazione, la ridefinizione della struttura
La parte terza dell’accordo, che, come già accennato, ridefinisce la strutturazione della contrattazione collettiva nei suoi vari livelli, presenta, quali principali elementi di novità, innanzitutto un opportuno chiarimento su quali organizzazioni possano davvero definirsi “partecipanti alla negoziazione” ai sensi del Testo unico del 10 gennaio 2014. Detto chiarimento è stato ispirato dalla comune volontà delle parti di declinare in modo preciso, per quanto di loro diretta e circoscritta competenza, l’analogo concetto enucleabile dal contenuto della sentenza della Corte costituzionale del 23 luglio 2013 n. 231, che in sostanza definiva la corretta lettura del testo dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori (con riferimento al requisito per costituire Rsa consistente nel fatto che esse fossero riconducibili a organizzazione “firmatarie” di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva) asserendo in pratica che a questi fini assume rilievo essenziale l’aver “partecipato” alla negoziazione. Poiché il quinto periodo della citata parte terza utilizza proprio il termine “partecipante alla negoziazione” ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dalla legge, nel prosieguo del medesimo periodo le parti hanno per l’appunto esplicato che “si intendono partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente accordo, e che abbiano partecipato alla negoziazione della piattaforma e hanno fatto parte della delegazione trattante l’ultimo rinnovo del Ccnl definito secondo le regole del presente accordo”.
Ciò premesso, le parti hanno comunque condiviso il concetto secondo il quale, in assenza di piattaforma unitaria, “la parte datoriale favorirà, in ogni categoria, che la negoziazione si avvii sulla base della piattaforma presentata da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore pari almeno al 50% più uno “e, conclusivamente, l’impegno a ritenere “efficaci ed esigibili” i contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti da organizzazioni che posseggano almeno il succitato requisito numerico di rappresentatività complessiva (peraltro previa consultazione certificata, delle lavoratrici e dei lavoratori secondo modalità stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto) a maggioranza semplice.
Un bel passo avanti quindi, almeno in apparenza, sulla certezza delle regole da seguire sul piano formale per assicurare poi sul piano sostanziale l’effettiva vincolatività dei Ccnl, prima che per l’insieme dei lavoratori appartenenti alla categoria, per le organizzazioni aderenti alle confederazioni firmatarie dell’intesa in oggetto.
Altri ulteriori due aspetti rilevanti della parte terza risiedono nelle precisazioni relative all’ambito di esercizio della contrattazione aziendalenonché, in tale contesto complessivo, alla legittimazione alla sottoscrizione a questo livello di intese modificative (anche in peius) del Ccnl, purché firmate dalle rappresentanze sindacali territoriali di categoria (importante chance, com’è evidente, per consentire una gestione “flessibilizzabile” entro certi limiti, dei contenuti generali del Ccnl).

L’esempio delle possibili sanzioni
Con riferimento invece alla parte quarta, si può segnalare che, all’interno del nuovo sistema attinente le procedure di raffreddamento delle controversie e le clausole sulle conseguenze dell’inadempimento, vengono espressamente configurati esempi di possibili sanzioni che potranno essere introdotte nei Ccnl, tra le quali sarebbero ipotizzabili anche la sospensione del versamento dei contributi sindacali o del godimento di diritti sindacali di fonte contrattuale (notevolissimo elemento di novità, soprattutto se pensiamo che è l’esito di un confronto molto difficile alla fine sfociato comunque in un esito tecnico condiviso).
Con riferimento infine alla quinta parte, concernente le clausole trasitoriee finali, va sottolineato soprattutto il principio ‘filosofico’ di consapevolezza reciproca delle necessità di supportare le regole sull’esigibilità dei contratti nazionali attraverso il coinvolgimento procedurale delle stesse strutture interconfederali qualora si dovessero verificare, a livello di categoria, controversie sull’applicazione dell’accordo (almeno sino al momento in cui i singoli Ccnl non abbiano esplicitamente contemplato analoghe procedure). In tal caso dovrebbe infatti intervenire un collegio di conciliazione e arbitrato “interconfederale” con potere di intervento diretto nei confronti delle parti inadempienti (previsione che, però, a quanto consta, non ha sinora trovato concreta applicazione).
In conclusione si può quindi affermare che bisogna necessariamente attendere ancora per poter rispondere correttamente alla domanda posta come titolo dell’articolo che è poi l’interrogativo davvero fondamentale in materia: tutto il nuovo sistema della rappresentanza, infatti, è sostanzialmente finalizzato a contribuire, sul piano tecnicopolitico, ad agevolare anche quello ‘svecchiamento’ delle relazioni industriali facile da auspicare a parole, ma evidentemente più difficile da realizzare in modo efficace e definitivo. In ogni caso, per quante difficoltà possa incontrare lungo il suo cammino questo processo di svecchiamento, l’obiettivo è troppo importante per non essere raggiunto. Tuttavia alla meta si potrà arrivare solo ricordandosi, come diceva Henri Michaux, che “sempre, senza reciderlo, con gli uomini, almeno un filo va conservato”, e, nella fattispecie, il “filo” in questione è proprio la compiuta e corretta applicazione del Testo unico sulla rappresentanza. Questa è la ferma convinzione di chi scrive: poi ai posteri l’ardua sentenza… 

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