Outlet di Serravalle, per i lavoratori Pasqua 2017 senza sorpresa

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Lavoro

di Chiara Lupi

I lavoratori dell’outlet di Serravalle nel 2017 hanno trovato una bella sorpresa dentro all’uovo: una domenica di lavoro il giorno di Pasqua.
Il fatto è noto: l’outlet ha deciso di aprire i battenti il 16 aprile, con buona pace delle mamme che vi lavorano alle quali è stata preclusa la possibilità di scartare l’uovo di Pasqua in famiglia. La decisione ha ovviamente scatenato la protesta. Queste le motivazioni più rilevanti dello scontro: “La società non si deve piegare al consumo”; “i lavoratori degli outlet sono i nuovi schiavi” (rimando alla nostra storia di copertina di gennaio-febbraio 2017); “il mercato senza regole non giova ai consumatori” e così via.

Forse, chi induce queste argomentazioni, non si rende conto di come sta girando il mondo. Per chi avesse trascorso gli ultimi anni su un altro Pianeta, occorre sottolineare che viviamo –ci piaccia o no– nell’era dell’always on. I supermercati nelle grandi città sono aperti 24 ore su 24 e le grandi catene di distribuzione consegnano la spesa a casa anche la domenica. Facciamo acquisti seduti sul divano e la merce ci viene recapitata nell’orario che più ci aggrada. Qualcuno che scarica la spesa dal camion e ce la porta in casa ci vuole… In quel caso non manifestiamo tanto sdegno per il lavoro domenicale, semplicemente ci fa comodo. A tutti capita di andare al supermercato la domenica e non saremmo così felici di tornare indietro. Ve lo immaginate un supermercato che chiude alle 19.30? Cene di legioni di lavoratori sarebbero compromesse.

I tempi di lavoro si sono dilatati, il lavoro stesso è cambiato e il mondo si adegua. Per molti non ha più nemmeno senso parlare di ‘orario di lavoro’; si lavora sempre più per obiettivi, l’azienda ha sfumato il proprio perimetro: chi lavora da casa; chi ha il part time verticale, orizzontale; chi lavora a ritmi massacranti perché non dimentichiamo che la legge di Pareto vale sempre (nelle organizzazioni il 20% delle risorse genera l’80% del valore). Nelle nostre città, come in tutte le metropoli del mondo, si può trovare qualsiasi cosa a qualsiasi ora. In Italia, poi, c’è un altro fatto: siamo un Paese a vocazione turistica, anche se non siamo capaci di valorizzarci. I turisti arrivano e non apprezzano negozi chiusi, musei sbarrati, centri commerciali in sciopero, sempre con buona pace delle lavoratrici-mamme. Siamo la patria del Fashion, naturale che un turista in Italia per le vacanze di Pasqua voglia fare acquisti.

Il tema secondo me è tuttavia mal posto. Non si dovrebbe discutere del fatto se sia giusto o meno lavorare a Pasqua: la questione riguarda l’organizzazione del lavoro, i contratti e la remunerazione. Pochi di noi possono permettersi di scegliere se, dove e quando lavorare. Il problema non è il quando, ma ‘se’ il lavoro c’è o meno. E se il lavoro c’è, dovrebbe essere regolamentato in maniera responsabile e rispettosa. Far lavorare i rider a cottimo, per esempio, pretendere prestazioni senza alcuna forma di tutela dovrebbe essere illegale, in un Paese civile. Le organizzazioni dovrebbero consentire alle persone di conciliare il lavoro con la famiglia, ma in Italia è sempre più difficile.

La notizia di oggi è che anche il congedo di paternità viene dimezzato, con buona pace di chi predica la condivisione delle responsabilità. Il lavoro di cura è sulle spalle delle donne –e delle mamme– naturale che le lavoratrici sottopagate, magari con contratti precari, insorgano al lavoro pasquale se già durante la settimana fanno i salti mortali per tenere insieme la loro vita. Il problema quindi non è il lavoro nei giorni festivi, il problema è il welfare, che c’è sempre meno e i contratti a tempo determinato, che non danno ai giovani la speranza di costruirsi un futuro.

Se sia giusto o meno lavorare a Pasqua è un modo subdolo per non affrontare il problema: il lavoro che non c’è, la tendenza a remunerarlo (quando c’è), il meno possibile –vedi lo scandalo degli stage non retribuiti, tanto per fare un esempio– e l’assenza di politiche di welfare. Il risultato qual è? I giovani, se possono, scappano e per quelli che restano l’indipendenza è un lusso. E le mamme? Sono sempre meno: nel nostro Paese, infatti, il fenomeno delle culle vuote dilaga e se andiamo avanti così non ci sarà più nessuno a protestare per la mancata Pasqua in famiglia.

La ‘sorpresa’ è che nessuno sembra curarsene: il mondo della formazione e dell’università sembra vivere disconnesso dalla realtà e il mondo del lavoro, se proseguiamo
su questa strada, cercherà le proprie risorse altrove. E chi resta dovrà accontentarsi di lavori di serie B se l’università e il nostro impianto formativo non ripensa se stesso. Perché sarà anche vero che tutti i lavori sono dignitosi, ma accettare qualsiasi condizione pur di lavorare, di dignitoso ha ben poco.

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