Occupazione: gestire la crisi si può? Sì, con politiche attive

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INTERVISTA AD ANGELO SALVATORI

a cura di Daniela Rimicci

Disoccupazione e gestione degli esuberi in Italia: Intoo e Ichino in prima linea per promuovere una soluzione. Questo il punto di partenza dell’incontro organizzato da Intoo il 17 ottobre scorso a Roma con ospiti illustri tra cui Pietro Ichino, Senatore della Repubblica ed esponenti di rilievo delle istituzioni locali, docenti e ricercatori del mondo accademico.

Abbiamo scambiato qualche battuta con Angelo Salvatori, Senior Advisor di Intoo, che ha moderato l’incontro. Quali i temi ‘caldi’ emersi dal convegno? Ichino ha portato in Senato una proposta incentrata sulle politiche attive: quali i dettagli della sua ricetta?

 

(Su Persone&Conoscenze n° 91, ottobre-novembre, la notizia dell’evento dedicato alla crisi occupazionale e alla soluzione proposta da Ichino e Intoo)

 

Senior Advisor di Intoo (Gi Group)
Senior Advisor di Intoo (Gi Group)

Quali i punti salienti emersi al tavolo di confronto?

Dal confronto tra i relatori sono emerse positività e aspetti che meritano un approfondimento. Si è affrontato, ad esempio, il tema legato all’esordio della legge Fornero che rappresenta un progresso rispetto alla leggi precedenti in materia di outplacement. In particolare, si è discusso su uno dei punti della riforma Fornero da migliorare, ovvero l’ingresso dei lavoratori in azienda che risulta essere troppo rigido. Un grande passo in avanti, invece, è stato fatto rispetto alla totale flessibilità nei primi tre anni dell’assunzione con possibilità di allontanamento del lavoratore a costi crescenti e una definitiva stabilizzazione per tutti i lavoratori dopo tre anni. Riteniamo che questo procedimento potrebbe ridurre −e di molto− il precariato oggi ancora dominante.

Politiche attive per fronteggiare la crisi occupazionale del Paese: questa la proposta di Ichino. La vision è chiara: meno assistenzialismo, più assistenza. Qual è la vostra posizione rispetto a questo tema?

È necessario fare chiarezza poiché le politiche attive sono tendenzialmente di due tipi: il primo comporta la creazione di nuovi posti di lavoro e compete alle aziende e alle istituzioni attraverso razionali politiche industriali e di attrazione degli investimenti; il secondo, invece, attiene alla facilitazione dell’incontro tra la domanda e l’offerta nel mercato del lavoro. È proprio la seconda tipologia che ci riguarda direttamente, ragione per la quale siamo favorevoli a un rapporto fecondo tra le organizzazioni del Ministero del Lavoro (centri per l’impiego) e le APL più qualificate e accreditate. Infatti, uno degli aspetti complessi di questo processo di incontro è proprio il principio dell’accreditamento che alcune regioni applicano e altre non vogliono o esitano a introdurre, oltre all’eccesso di federalismo su base nazionale. Questo rapporto pubblico privato ha rappresentato il punto centrale emerso in occasione del convegno di Roma, contenuto nell’emendamento presentato da Ichino e altri senatori.

Il tema delle politiche attive e di nuovi strumenti, come l’outplacement, iniziano a prendere piede anche nel nostro Paese. Qual è il quadro attuale? Secondo Lei qual è la direzione da seguire?

Le politiche di welfare to work −come la ricollocazione (outplacement)− stanno lentamente entrando nelle pratiche aziendali italiane, sia multinazionali sia grandi medie realtà. Un punto di resistenza si rileva nelle centrali sindacali nazionali −non con la stessa intensità−, ma soprattutto nella periferia delle organizzazioni sindacali e in molti casi nelle RSU interne. La direzione da seguire è quella già intrapresa da Intoo con l’identificazione di appositi corsi di formazione per il personale interno, volti a costruire una forte relazione tra i nostri consulenti nel territorio di competenza e i sindacati territoriali. Ricordo che Intoo è presente con propri uffici su tutto il territorio nazionale.

Intoo e Gi Group: tra i pochi player schierati a favore di progetti, nati nel mondo politico, in modo diretto e pubblico. Iniziative ritenute applicabili, ‘giuste’, che hanno l’obiettivo di ridare linfa vitale al mondo del lavoro. Quali ragioni vi spingono a portare avanti idee e iniziative volte a una svolta, prima di tutto, culturale?

Certo, noi abbiamo scelto una posizione netta e coraggiosa a favore di provvedimenti legislativi che vanno nella direzione giusta, sempre nel rispetto dell’autonomia della politica. Il nostro è un approccio, prima di tutto, culturale. Purtroppo nel mondo dell’impresa è sempre necessario farsi carico di campagne educazionali nell’interesse del Paese e questo è quello che abbiamo scelto di fare. Quest’approccio, denso di responsabilità sociale, riassume a pieno la nostra mission e la vision della nostra società.

I giovani e gli over 50 rappresentano le fasce di età che più subiscono gli effetti della crisi, della Riforma Fornero e del pacchetto lavoro del Governo Letta. Come si pone Intoo rispetto a questo tema?

È indubbio che i tassi sono molto preoccupanti; il lavoro oggi è diventato una ‘merce’ più rara rispetto al passato, ma è ancora dinamico e produttivo. Sono cambiate, invece, le esigenze di occupazione a tutti i livelli e spesso i nostri ragazzi non hanno gli strumenti necessari per rispondere alle nuove richieste imposte dal mercato professionale. Nel 2013 ritengo sia evoluto in positivo, speriamo che il cambiamento prosegua e si rafforzi ulteriormente.

Intoo ha una mission che definirei di ‘responsabilità sociale’. Si trova d’accordo?

Come dicevo, la responsabilità sociale è il motore che guida la nostra azione. In questo ci aiuta anche l’esperienza internazionale e l’aver preso in considerazione come benchmarking le politiche giuslavoristiche dei Paesi più avanzati. Inoltre, in questo momento per le grandi aziende −soprattutto multinazionali− queste scelte sono ormai una parte fondante delle azioni di business. Approccio che noi sposiamo in pieno: il business etico come prima caratteristica. A questo si deve aggiungere poi una relazione con le persone improntata a una massima lealtà e trasparenza.

Se Lei fosse ministro del lavoro, quali prime 10 azioni concrete intraprenderebbe?

Mi orienterei sulla metodologie di organizzazione del lavoro sulla linea dei Paesi del nord Europa, riformando e rendendo operativi i centri per l’impiego, e introdurrei una legislazione più aperta all’ingresso delle persone nel mondo professionale. Riformerei −senza tanti fraintendimenti− l’art 18 che in parte ancora limita l’azione delle aziende e non incide sui diritti dei lavoratori, ma soprattutto opererei, dopo vent’anni di assenza del governo dalle politiche industriali, in un senso più keynesiano rispetto al passato. Ovviamente accelererei la legge Fornero, eliminando di fatto tutti gli arcaici strumenti della cassa integrazione in deroga e rafforzando l’aspi universalizzandolo il più possibile.

Alcuni CV vengono scartati perché troppo qualificati: un altro problema italiano. Di cosa si ha paura? Della pecora nera? Di una persona in grado di sovvertire lo status quo? Il rischio è creare un circolo vizioso che premia i soliti noti…

In realtà, secondo la nostra esperienza, oggi il mercato del lavoro tende a privilegiare i veri talenti e a escludere i profili meno qualificati. Le grandi multinazionali tendono a valorizzare le competenze e il concetto di circolo vizioso a cui fa riferimento è stato smentito dalla carenza di opportunità di lavoro di contro alla ricchezza di offerta.

A proposito: politiche meritocratiche, un concetto ormai morto e sepolto in Italia. Cosa ne pensa?

La meritocrazia, per fortuna, si è affacciata −timidamente− al mondo del lavoro negli ultimi anni. Ritengo, però, che molti dei nostri giovani non siano preparati ad affrontarla. Il problema, a mio parere, è soprattutto culturale: nel nucleo familiare la spinta meritocratica è scarsa. La cronaca di oggi è densa, di fatto, di episodi di famiglie che si lamentano della scuola, non di pretesa di una maggiore disciplina ma, al contrario, una maggiore accondiscendenza e permissività. Un inserimento in Italia dei principi confuciani non sarebbe male, tenuto conto che nelle classifiche internazionali i giovani non emergono quanto dovrebbero, soprattutto nelle materie scientifiche.

www.intoo.it

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