La struttura del tempo nel lavoro precario e nel lavoro ‘protetto’

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di Livio Macchioro

“Posso dire di aver avuto una vita ricca. Non necessariamente felice.”
 [libera interpretazione del ricordo di un’intervista a Gianni Agnelli nei suoi ultimi anni]

(…) stage di sei mesi non pagato e con zero prospettive. (…) Fino al sospirato primo contratto a progetto, il primo di una lunga serie, tutti uguali… ma non era illegale? Comunque. Una storia a lieto fine? Magari rispetto a quella di tanti altri sì. Perché io, almeno, a fine mese qualche soldo lo prendo. (…) Mi sono distinta nel lavoro, altrimenti non sarei stata confermata, e a cosa serve? Se faccio un bilancio, vedo una ragazza di 29 anni con contratto a progetto, che si sente dire dal datore di lavoro di stare ben attenta a non restare incinta perché altrimenti va a casa, fa orari da incubo, se sta male deve lavorare lo stesso perché nessuno la sostituisce, fa le trasferte nei weekend che non le vengono pagate né rese come giorni di recupero, non può andare dal dentista o a fare le analisi del sangue «perché ora proprio non è momento, c’è tanto da lavorare». Che si sente dire (sottolineo: ho un contratto a progetto, quindi io non avrei l’obbligo della presenza fissa in ufficio): “Ti riposerai il 25 e 26 dicembre, cara”. Che, quando arriva agosto, viene apostrofata con un “a te non spettano le ferie, il tuo contratto non le prevede”. Che dice sempre di sì per non perdere questa miseria di posto, perché in mesi e mesi di curriculum inviati ha ottenuto solo silenzi. Che lavora in un ufficio dove ci sono solo stagiste senza neppure l’assicurazione. Dove non c’è l’acqua, né vengono fatte le pulizie. (…) [ dal blog ‘Solferino28’]

La ‘tesi’
La tesi di questo articolo è che il tempo, per il lavoratore, assume una struttura oggettivamente differente a seconda delle condizioni ‘materiali’ nelle quali il lavoro viene esercitato e questo condiziona il fattore soggettivo nella modalità di ‘interpretare’ il tempo stesso. Cercherò di cogliere queste differenze confrontando i due attuali emisferi del mondo del lavoro: il lavoro precario e il lavoro dipendente.

Lavoro precario e lavoro ‘protetto’
Escludo dall’area di osservazione la disoccupazione totale e i dipendenti del ‘pubblico’ a posto fisso (cioè vinto con concorso) perché sono entrambi altri pianeti. Restiamo quindi nel settore privato. Nell’arco(baleno) delle forme di rapporto di lavoro previste dall’attuale normativa esistono gradazioni molto differenti anche nell’ambito del lavoro dipendente. Ci sono quantomeno due scale di aspetti: la remunerazione e la ‘sicurezza del posto’. Rispetto a quest’ultima il lavoratore dipendente può trovarsi in condizioni di incertezza analoghe a quelle del lavoratore ‘precario’. Introduco allora il concetto di ‘lavoro protetto’, intendendo per tale un rapporto di lavoro ‘blindato’ da particolari forme di garanzia (di legge e/o di fatto). Insomma: quello che una volta era il ‘posto fisso’, fino alla pensione, che però, in questi termini, è in avanzata estinzione.

Il tempo oggettivo del lavoro
Il tempo può essere considerato ‘ricco’ oppure ‘povero’: è la dimensione materiale, che investe sia il tempo del lavoro in azienda, sia il tempo ‘libero’. Alcuni aspetti:

  • Differenza nel tempo ‘libero’ effettivamente disponibile. Il lavoratore precario è tenuto, di fatto, a lavorare (come minimo) 8 ore di lavoro sempre; sta a casa quando l’azienda è chiusa. Il lavoro ‘protetto’ dispone contrattualmente di permessi, ferie, riduzioni di orario, recuperi: tutto tempo ‘libero’ a disposizione ‘da adesso in poi’. È ‘tempo in banca’, inteso: se non usufruisci di tutto quanto previsto sopra, il residuo viene – prima o poi – monetizzato.
  • Tutto questo acquista una rilevanza ancora maggiore nelle situazioni di emergenza e nel caso della malattia.
  • Il ‘tempo amministrativo’. Il lavoratore precario –specialmente se ‘dipendente a partita IVA’– deve dedicare ua quota aggiuntiva di tempo al disbrigo di pratiche amministrative ignote al ‘lavoratore protetto’. Tenere la contabilità e i rapporti con il commercialista. Ricordare le scadenze fiscali. Fare copie della documentazione. Dedicarsi a una dichiarazione dei redditi molto più complicata. Insomma, per il lavoratore precario il tempo del lavoro coincide con quello esattamente prestato, e non può essere inferiore. Anzi, è superiore, in forza dell’indotto amministrativo. Nel lavoro ‘protetto’ il tempo effettivo di lavoro è –paradossalmente– comunque inferiore a quello effettivamente prestato.
  • Il ‘tempo libero’. La retribuzione contrattuale del lavoro protetto consente anche maggiori disponibilità per il tempo libero, viaggi e vacanze. Nel lavoro precario, inoltre, i fine settimana sono spesso ‘inquinati’ dal pensiero della ricerca del ‘prossimo lavoro’ e dal continuo, obbligato, lavorio di aggiornamento CV, network per ricerca opportunità ecc.

4 – Il tempo soggettivo del lavoro
Sappiamo che, soggettivamente, il tempo può, sempre, essere percepito o vissuto come positivo-negativo, buonocattivo, amico-nemico, utile-inutile. La mia ‘assumption’ è che la stessa frazione di tempo o condizione aziendale (giorno, mese, anno) nel lavoro precario è gravata da un carico psicologico superiore a quella del lavoro protetto. Prendiamo ad esempio la ‘malattia’ nel contratto di lavoro a progetto. Se il dipendente è malato, sta a casa, e questo viene considerato normale e ininfluente ai fini del funzionamento dell’organizzazione. Inoltre, quantomeno fino a 6 mesi di assenza (dico: 6 mesi), tutto ciò è accettato senza problemi, al massimo con un po’ di rassegnazione. Se il ‘precario’ è malato per 2 giorni, ciò viene inesorabilmente vissuto come una diminuzione della prestazione e un danno per l’organizzazione. Dall’azienda, ma anche, psicologicamente, dal lavoratore, che si percepisce in difetto. È intuibile che tutto questo si ripercuote sull’approccio allo stato di malattia. Per farla breve: il ‘protetto’ se ha 37 di febbre è malato; il precario, finché ha 38, va al lavoro. Questo vale anche per tanti piccoli aspetti quotidiani. Il peso di questo carico psicologico, derivante dal disallineamento, più o meno accentuato, tra forma e sostanza del contratto a progetto, è un costo pesante, tutto a carico della parte ‘debole’. Certo: questo tipo di situazione può assumere sfumature-gradazioni molto diverse a seconda di quanto l’Azienda sia illuminata e ‘umana’. Ma l’impostazione mentale è inesorabile.

L’interazione oggettivo-soggettivo
Oggettivo e soggettivo si compenetrano, osmoticamente. Sconcertante vedere quanti, oggi, hanno pane senza denti e quanti denti senza pane. Il lavoro oggi è caratterizzato da un’esplosione della divaricazione tra condizioni oggettive e percezione delle stesse. Vero –d’altra parte– che vi sono aziende nelle quali, oggi, il lavoro ‘protetto’ è pagato con condizioni di stress e controllo ‘ti misuro il tempo per andare al cesso’ da catena di montaggio anni 60’. Non parlo di aziende cinesi o di piccola impresa: parlo di lavoro impiegatizio, multinazionali ricche e insospettabili, e casi molto più diffusi di quanto si immagini. La prevalenza del soggettivo o dell’oggettivo determina differenti posizioni personali che provo a collocare in una matrice di questo tipo:

Tempo del lavoro

Conclusioni lapidarie
È semplicistico affermare l’equazione ‘lavoro protetto=tempo migliore’ e viceversa. La possibilità di vivere positivamente il lavoro, quale che sia la condizione materiale, dipende principalmente dalla posizione soggettiva. Questa, a sua volta, dipende dal significato che possiamo dare alla nostra vita. Infine, molto è determinato dall’avere una compagnia in tutto questo, oppure trovarci soli. Da ricordare, comunque, che il tempo della nostra vita non ce lo diamo noi.

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