Jobs Act: la svolta?

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Il 7 maggio è stato votato al Senato il decreto n.34 (20 marzo 2014), meglio noto come Jobs Act, per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. Il disegno di legge, proposto dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti, mette mano alla riforma dei più importanti istituti legati al welfare e ai servizi di lavoro, oltre che al riordino dei contratti. Il problema, d’altra parte, è quanto mai urgente e anche gli ultimi dati legati al tasso di disoccupazione mostrano la necessità di intervenire.

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Otto gli emendamenti che il Governo ha presentato al testo del decreto Lavoro, frutto della mediazione all’interno della maggioranza rispetto al testo licenziato dalla Camera. “Il nostro intendimento, nel presentare gli 8 emendamenti al dl Lavoro, si è mosso nel senso di tre direzioni precise: semplificare la vita alle aziende, cercare che i contratti a tempo determinato abbiano una vita più lunga, spazzare forme senza assicurazioni sociali, come le partite Iva, i Co.Co.Co e così via”. Così commenta il sottosegretario al lavoro, Luigi Bobba del Pd.

Il provvedimento torna alla Camera per la terza lettura e per il via libera definitivo.

 

Occupazione e flessibilità: qualche dato

Il tasso di disoccupazione giovanile a novembre 2013 toccava il 41,6%, in aumento di quattro punti rispetto a novembre 2012. Lo ha rilevato l’Istat nelle stime provvisorie, spiegando che il tasso è al top dall’inizio delle serie storiche, ovvero dal 1977.
Sempre secondo l’Istat in sei anni, tra novembre 2007 e novembre 2013, in Italia gli occupati sono diminuiti di 1,1 milioni di unità mentre i disoccupati sono più che raddoppiati passando da 1.529.000 a 3.254.000 (1,725 milioni in più). Mentre i maschi disoccupati sono aumentati di 1,1 milioni, per le femmine si registra un aumento di 600.000 unità.
A febbraio 2014 i dati Eurostat mostrano percentuali costanti, ma si registrano movimenti al ribasso. In un anno aumenta dell’1,2% il tasso generale di disoccupazione (dall’11,8% di febbraio 2013 al 13% di febbraio 2014) e cresce del 3,6% quello giovanile. Nel nostro Paese, in un solo anno, sono stati bruciati 273.000 posti di lavoro, con il numero di senza lavoro arrivato a 3.307.000 di persone. In termini assoluti, nel nostro Paese si contano 27.000 giovani disoccupati in più, saliti complessivamente a 678.000.
Per quanto riguarda i contratti di lavoro, i dati del terzo rapporto di monitoraggio ISFOL (2013) mostrano un andamento negativo sia sotto il profilo del livello complessivo dell’occupazione, che ha raggiunto il suo minimo dall’inizio della crisi economica, sia per quel che riguarda specificatamente gli avviamenti al lavoro: nel primo trimestre 2013, infatti, la tendenza alla crescita delle attivazioni registrata nel trimestre precedente inverte il passo e fa segnare un -1%. Sembra essersi concluso anche il processo di sostituzione tra contratti caratterizzati da elevata flessibilità (lavoro intermittente e collaborazioni) e forme maggiormente tutelate. In termini relativi, i contratti a tempo determinato rimangono la tipologia nettamente prevalente: dal luglio 2011 al marzo 2013 la loro incidenza è passata dal 63,4% al 67,5%, rimanendo contrassegnati da durate particolarmente brevi. In merito ai settori economici, le flessioni più marcate del numero di nuovi avviamenti si registrano nelle costruzioni (-10,3%) e nell’industria (-9,6%). A livello territoriale i valori maggiormente negativi riguardano il Mezzogiorno e il Nord-Ovest.

Jobs Act: cosa propone

Il disegno di legge si compone di cinque articoli ripartiti in due capi: il primo dedicato ai contratti di lavoro a termine e apprendistato; il secondo, ai servizi per il lavoro, alla verifica della regolarità contributiva e ai contratti di solidarietà.
Nell’ambito del riordino delle forme contrattuali si prevede, oltre che a definire un codice semplificato del lavoro – con la redazione di un ‘Testo organico’ –, “l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti” e l’introduzione, anche questa in via sperimentale, “del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti aventi a oggetto una prestazione di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali più rappresentative sul piano nazionale”. È stato fissato al 20%, sull’organico complessivo, il tetto massimo oltre il quale un’azienda non può spingersi nell’assunzione di personale a tempo determinato, con la sanzione, per chi non rispetta la regola, di pagare una multa pari al 20% dello stipendio del 21esimo contratto a tempo determinato per tutta la sua durata, che sale al 50% per gli ulteriori contratti successivi al 21esimo. Lo stesso non vale per gli istituti pubblici e privati che operano nella ricerca, proprio in ragione della specificità dell’attività svolta, e per le aziende con meno di 5 dipendenti.
Il datore di lavoro potrà prorogare un contratto a termine con lo stesso lavoratore fino a un massimo di 5 volte (erano 8 nella prima stesura del testo) e per un totale di 36 mesi, senza indicare la causale purché svolga la stessa mansione. Si amplia, inoltre, il diritto di precedenza nelle assunzioni per le lavoratrici in congedo di maternità e si obbliga il datore di lavoro a informare il lavoratore del diritto di precedenza con una comunicazione scritta. Viene, altresì, reintrodotta la percentuale di stabilizzazione in servizio degli apprendisti previsto dalla riforma Fornero (L. n. 92/2012). Tale norma imponeva all’impresa la regolarizzazione della metà degli apprendisti per potersene dotare di nuovi. Vincolo reintrodotto, dunque, ma soglia abbassata al 20% e valida esclusivamente per le realtà con più di 50 unità (contro le 10 della riforma Fornero).
Sempre per l’apprendistato le proposte del Governo prevedono la possibilità del suo utilizzo a tempo determinato per le attività stagionali. Le Regioni devono però aver definito un sistema di alternanza scuola-lavoro e la possibilità dovrà essere prevista nei contratti di lavoro collettivi.
Nell’ambito della riforma degli ammortizzatori sociali si indica l’‘universalizzazione’ dell’Aspi (l’assegno per la disoccupazione involontaria) “con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l’esclusione degli amministratori e sindaci”.
Si punta, inoltre, a dare più sostegno alla maternità, “nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, l’indennità di maternità a tutte le categorie di donne lavoratrici”, e alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro (compresa una maggiore flessibilità degli orari e dei congedi). Si indica poi la possibilità di “introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito complessivo, e di armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico”.
In materia di formazione, viene ripristinata quella obbligatoria che dovrà essere offerta dalle Regioni: il Governo specifica che la Regione dovrà indicare anche “sedi e calendario” e potrà anche avvalersi “delle imprese e delle loro associazioni che si siano dichiarate disponibili”.
Torna anche il Piano formativo individuale (Pfi), molto semplificato, che dovrà essere inserito nel contratto di apprendistato.
Circa i contratti di solidarietà, gli sconti contributivi in tutte Regioni saliranno dal 25 al 30%.
Infine, viene introdotto un periodo transitorio, specificando che nel periodo fino al 31 dicembre oltre alla “norma nazionale del 20%” varranno anche le regole già scritte nei contratti vigenti. Le imprese dovranno cioè adeguarsi al tetto del 20%, a meno che il contratto collettivo applicabile non sia più favorevole. Quindi, il datore di lavoro che all’entrata in vigore del decreto abbia in corso rapporti di lavoro a termine superiori al tetto del 20% dovrà rientrare a meno che “un contratto collettivo applicabile nell’azienda disponga un limite-percentuale o un termine più favorevole”.

Occupazione e flessibilità: sono conciliabili?

Detto ciò, i dubbi sono tanti, sia nel palazzo sia nella piazza. Salito così velocemente alla ribalta, divenuto protagonista assoluto della discussione politica e dei salotti televisivi, il Jobs Act riuscirà a intervenire in maniera positiva sulla riduzione della disoccupazione e sulla stabilizzazione dei rapporti di lavoro?

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