Delega e margini di autonomia

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di Viola Manfredini

Chiarezza, motivazione e responsabilità: queste sono le parole chiave che girano intorno all’attività di delega in azienda. Quali sono i margini di autonomia che possiamo accordare ad altre persone? E come gestire efficacemente la relazione con il delegato? Certamente la fiducia gioca un ruolo fondamentale, così come un esercizio equilibrato del controllo e della supervisione. Fondamentale è anche individuare le persone giuste a cui affidare nuove responsabilità e prospettive di crescita professionali e personali. Grazie a una comunicazione chiara degli obiettivi, delegare può concretamente contribuire dunque allo sviluppo di tutta l’azienda.

“Nell’ultimo mese –racconta Flavia Simeone, Consulente di formazione e sviluppo organizzativo e manageriale di Newton Management Innovation– sollecitata da osservazioni e da commenti raccolti in diverse organizzazioni, in più occasioni sono stata stimolata a riflettere sulla delega. La settimana scorsa, nell’ambito della progettazione di un programma di sviluppo manageriale di una multinazionale, ho intervistato, separatamente, un Direttore e un suo collaboratore. Entrambi, seppur con contenuti e toni diversi, hanno mostrato la loro insoddisfazione rispetto ai risultati ottenuti”.

Il punto di vista del Direttore

Flavia Simeone
Flavia Simeone
Consulente di formazione
e sviluppo organizzativo e
manageriale
Newton Management
Innovation

Il Direttore raccontava uno specifico episodio: era deluso dal comportamento del suo collaboratore, riteneva di aver affidato alla persona un progetto importante per l’azienda. Inoltre l’incarico costituiva una reale possibilità di crescita, perché prevedeva nuove responsabilità e avrebbe consentito un’elevata visibilità in azienda. Definiti gli obiettivi in modo molto chiaro e preciso, il Direttore aveva verificato i primi risultati dopo un mese di attività. Con stupore e disappunto, le cose non erano andate avanti come si aspettava. Così aveva deciso di intervenire in prima persona. In termini accalorati, sottolineava che la responsabilità dei risultati era in ultima analisi sua, così come l’eventuale perdita, anche d’immagine. Riteneva anche che quest’ultimo episodio confermasse una sua sensazione: solo garantendo in prima persona i risultati si sarebbe evitato di ottenere risultati inferiori alle aspettative.

Il punto di vista del collaboratore
Nella successiva intervista il collaboratore, citando casualmente lo stesso episodio, ne dava un’interpretazione completamente diversa: gli obiettivi del progetto non erano stati chiaramente enunciati, pur essendo state trasferite le relative responsabilità. Soprattutto, il Direttore non gli aveva dato una reale libertà di scelta: all’atto della verifica non aveva valutato il lavoro fatto fino a quel momento, perché non era stato fatto come lo avrebbe fatto lui. A questo punto la motivazione del collaboratore era crollata, aveva letto l’episodio come profonda sfiducia del capo nei suoi confronti e quindi si interrogava sul senso di continuare la collaborazione. Quello che doveva essere un momento di crescita e di motivazione del collaboratore, si era trasformato in un incidente che aveva compromesso la relazione capo-collaboratore.

La delega come strumento di leadership
Delega Di fatto quando parliamo di delega parliamo di una capacità che è al centro del lavoro manageriale, se accettiamo la definizione di Drucker secondo cui “management è conseguimento degli obiettivi attraverso l’attività di altri”. Ciò nonostante, guardando i risultati ottenuti dal processo di delega in azienda e ascoltando il punto di vista degli attori coinvolti (come nell’episodio sopra citato), appare evidente che la delega è una leva non sempre gestita con competenza ed efficacia. Il problema spesso nasce già all’atto della concezione della delega: a che finalità risponde? Non a liberare spazi e tempo al management, ma principalmente a consentire la crescita e l’empowerment dei collaboratori. È quindi uno strumento di leadership.

Quali responsabilità delegare?
Quali sono gli aspetti importanti per ottenere il risultato? “I manager tendono a vedere la delega come una ‘technicality’, quindi tendono a concentrarsi sulla definizione di un efficace processo di attuazione, sull’individuazione di più efficienti strumenti di comunicazione, sulle modalità più apprezzate di coinvolgimento dei collaboratori. Non sempre sono altrettanto attenti al cuore del problema: definire quale parte della propria autorità e responsabilità debbano, seppur per un arco di tempo limitato e ben definito, decentrare ai propri collaboratori, per consentire loro di raggiungere determinati risultati e per sostenerli nello sviluppare nuove competenze. Così può accadere che il manager trasferisca solo compiti o doveri (senza trasmettere i relativi poteri), mantenendo il potere decisionale e di controllo nelle proprie mani, con il risultato di lasciare insoddisfatto il collaboratore, che si trova nella situazione di avere avuto un conferimento di un incarico o un ampliamento dei propri compiti, senza avere le leve per poter agire autonomamente. Analoga insoddisfazione, e anche perdita di motivazione, si verifica quando il manager delega al collaboratore l’esecuzione di compiti ben definiti e già programmati, che richiedono al collaboratore soltanto l’agire nell’ambito di una stretta cornice” spiega Simeone.

Autonomia del collaboratore
Perché si dispieghi il reale valore della delega è necessario che il manager riconosca al collaboratore una reale autonomia nel definire mezzi e modalità per realizzare il risultato atteso. “È l’esercizio della responsabilità, attraverso la capacità di decisione, in situazioni non note del delegato che configura la delega. Ciò non significa che il manager, delegando, abdichi alla responsabilità e al controllo, né che, una volta delegata una responsabilità, il manager non possa continuare a dare informazioni utili alla soluzione del problema. Certamente è opportuno che il delegante si astenga dall’intervenire continuamente, interferendo sull’operato e sulle scelte del suo collaboratore. Se al delegato viene riconosciuta autonomia, ciò non significa che il manager non mantenga la responsabilità dei risultati ottenuti e delle scelte effettuate dal collaboratore. Perciò è fondamentale che si definiscano, alla assegnazione della delega, momenti di verifica e feedback. Riconoscere l’autonomia del proprio collaboratore nell’ambito della delega richiede al manager in primo luogo di accettare (e valorizzare) il diverso modo di operare del collaboratore (raramente le loro scelte saranno totalmente corrispondenti alle proprie) e in secondo luogo di accettare a priori il fatto che i collaboratori potranno sbagliare, assumendo su di sé la responsabilità dell’eventuale errore e il valore che potrà assumere per lo sviluppo delle loro competenze” conclude Simeone.

Motivare per responsabilizzare

Werner Volgger
Werner Volgger
Direttore Marketing
Gruppo Rubner

Quali pratiche adottano dunque le aziende per delegare alcune attività e rendere autonome le persone? Scopriamo l’esperienza di Rubner, gruppo imprenditoriale a livello internazionale che da oltre 80 anni fa del legno il fulcro del suo business. Grazie alla forte crescita registrata negli ultimi dieci anni, la Rubner Holding è oggi una famiglia numerosa: 1500 collaboratori sparsi in Europa –in Italia, Francia, Germania, Polonia e Austria– nelle 32 compagnie che la costituiscono. Con un fatturato complessivo nel 2011 di 370 milioni di euro, il Gruppo si è prefissato per i prossimi anni una strategia di crescita in tutta Europa. In questo contesto, il collaboratore è considerato un elemento essenziale per contribuire al raggiungimento di questo obiettivo. “Uno dei nostri assunti fondamentali –racconta Werner Volgger, Direttore Marketing del Gruppo Rubnerè che una strategia è perseguibile soltanto se si avvicina alle persone Abbiamo constatato la necessità di dare alle aziende innanzitutto autonomia: ogni azienda infatti ha una gestione autonoma in cui dirigenti, quadri e responsabili devono poter trovare lo spazio e quindi la motivazione; e, di conseguenza, gestiscono la responsabilità. Questo è il segreto del nostro successo”.

Strumenti per facilitare l’autonomia
Deleghe 2Ma come è possibile portare un’azienda a una realtà di questo tipo? Ci spiega Volgger in che modo Rubner ha raggiunto questi risultati. “Da quattro anni abbiamo implementato due piattaforme, ‘Reclutamento di futuri dirigenti e manager’ e ‘Rubner sales Academy’. Le piattaforme di reclutamento –a cui seguono le Academy– danno vita a un percorso che dura almeno due anni. Grazie alle Academy riusciamo ad approfondire il know how nella vendita giornaliera: come aggredire il mercato e come qualificare lo staff della vendita. Al termine di questi percorsi si registrano prestazioni significativamente superiori; la nuova responsabilità acquisita porta a una notevole crescita del profilo professionale. Mettiamo a disposizione questi strumenti di facilitazione, dopodiché è il collaboratore a dover gestire la sua autonomia. Chiediamo il raggiungimento di obiettivi fissati in maniera comune ma –molto importante– la responsabilità rimane di ognuno. Lasciamo spazio di manovra ai nostri manager che, in questo modo, trovano maggior motivazione nello svolgere le attività”.

Obiettivi chiari e condivisi
Deleghe 3Se il nostro compito è gestire il cambiamento e la crisi, quello che dobbiamo sempre domandarci innanzitutto è: a chi dobbiamo rivolgerci? Infatti è fondamentale informare il collaboratore e comunicargli quali sono gli obiettivi da perseguire. “La fase di cambiamento diventa anche una questione di processo –che dura solitamente dai due ai tre anni–, di addestramento, di educazione professionale: seguendo questo accompagnamento (lo strumento più classico di accompagnamento è un percorso di coaching, durante il quale il manager impara ad ascoltare ciò che gli dice l’esperto, che può essere ad esempio il titolare dell’azienda) i manager riescono a mettere in atto un cambiamento mentale” dice Volgger. La tipica situazione, quando l’azienda deve cambiare, è caratterizzata da un’uscita dalla zona di comfort: fare le cose in modo diverso da come si sono sempre fatte implica il coraggio di andare altrove, di intraprendere il nuovo, di mettere in atto, appunto, un cambiamento mentale. Mutare punto di vista, vedere la situazione in modo inedito, da un’altra angolazione: tutto appare diverso. Uscire dalla zona di comfort significa progredire nel proprio cammino professionale. “Ovviamente non tutti ce la fanno, alcuni rinunciano. È anche, spesso, una questione di maturità: fino a che punto la persona ha bisogno di essere guidata, fino a che punto riesce a gestire le responsabilità? È quindi nostro compito capire a chi possiamo affidare certe responsabilità, e quindi chi può diventare un personaggio chiave” continua Volgger.

I benefici dell’autonomia
La crescita sperimentata negli ultimi anni nel Gruppo Rubner è da attribuire dunque anche al cambiamento mentale di molte persone che ora si ritrovano in posizioni strategiche. Solo chi è disposto a cambiare mentalità riesce ad apportare questo contributo. È un processo verticale e orizzontale insieme. I manager coinvolti appartengono a tutti i settori del Gruppo: produzione, ricerca e sviluppo, commerciale, amministrativo, fiscale… Le persone che collaborano con questi manager si sentono più partecipi in azienda: “la nostra sfida è che ogni lavoratore diventi un piccolo imprenditore, che deve quindi ragionare sempre in quest’ottica. In seguito a questi percorsi, il clima di lavoro diventa molto più sereno; si registra più collaborazione, e più legami si instaurano tra le aziende del Gruppo tramite i contatti tra colleghi delle diverse organizzazioni, che si danno reciproci supporti e input. Abbiamo visto che questo sistema funziona e ci sta portando a risultati molto importanti, quindi vogliamo continuare questa politica di addestramento, reclutamento e guida” conclude Volgger. E così le persone contribuiscono maggiormente, in definitiva, al raggiungimento dell’obiettivo complessivo dell’azienda e diventano ambasciatori del marchio: tutti si sentono parte della grande famiglia Rubner. 

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