Andate all’estero! … Anzi, no! L’opinione di un direttore del personale

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di Martina Galbiati

Condivido lo scambio di mail che ho avuto con Sergio Salvi, direttore del personale di uno storico gruppo cementifero piemontese che ha letto la mia ultima rubrica e che ringrazio per aver accettato di condividere le sue riflessioni anche con tutti i nostri lettori.

Quale miglior gesto in risposta all’appello al dialogo generazionale che rivendicavo nell’articolo precedente?

 

Sergio Salvi 04/07/2014 17.30

“Buongiorno Dottoressa Galbiati,

approfitto di questo gentile invito per condividere qualche riflessione scaturita dalla lettura del suo articolo Andate all’estero!…Anzi, no! Lei scrive: “Oggi qualcosa all’interno di questo meccanismo ‘a staffetta’ si è inceppato. Il ricambio è bloccato da una calca di persone della vecchia scuola che non cede il passo e rallenta il processo di rigenerazione della società tutta”.

Fino al 2011 (quindi in piena recessione) dicevo: “Ci salverà la demografia: noi, baby boomers, siamo molti, ma molti di più, in Italia, di quante siano le persone delle generazioni successive…”

Poi è arrivata la riforma delle pensioni targata Fornero; indispensabile per le casse dello stato, ma zeppa che ha inceppato del tutto il meccanismo, già rallentato rispetto ai miei tempi, del ricambio generazionale.

E questo vale a tutti i livelli, operai, impiegati, quadri, dirigenti. Intendiamoci, ‘gli eterni’ ci sono sempre stati. A tutti i livelli, in tutte le aziende, esistevano casi di (secondo me insana) mania di morire canuti alla scrivania, o al banco del centralino, ma si trattava di eccezioni; la stragrande maggioranza, con il compimento del 60mo anno, anche se dirigenti, venivano più o meno gentilmente, accompagnati all’uscita, il diritto alla pensione era una certezza!

A me successe, a 32 anni, di essere assunto per sostituire un dirigente (andato in pensione a 60 anni e 3 mesi) con il quale fu stipulato un contratto di consulenza (nel 1988 non c’erano Co.co.co, Co.co.pro) avente a oggetto la mia ‘legittimazione’.

Oggi, se è vero che a sessant’anni si lavora gagliardamente (ma quanti sono davvero così gagliardi?), siamo nella situazione in cui un’intera generazione è stata bandita dal mondo lavoro, con un paradosso: buona parte di ciò che si è risparmiato allontanando i pensionamenti si spende e si spenderà in ammortizzatori sociali e assistenza al reddito.

Confido che l’idea del ministro Poletti di rivedere il meccanismo dell’accesso alla pensione vada in qualche modo in porto: sarebbe uno shock più positivo di quanto si possa credere per il mercato del lavoro.

Noi della vecchia scuola, che nel frattempo ci siamo comperati la moto e abbiamo imparato ad apprezzare la filosofia dello slow food, saremmo in tanti a cedere il passo (confidando di favorire i nostri figli), se ne avessimo la possibilità.

Cordiali saluti.

Sergio Salvi

Direttore del Personale e Risorse Umane

Buzzi Unicem SpA”.

 

Martina Galbiati 04/07/2014 18.48.

“Gentilissimo dottor Salvi,

mi fa piacere ricevere il commento di una persona della generazione precedente alla mia perché, come scrivevo nella rubrica che lei ha letto, l’errore spesso sta nella mancanza di dialogo fra le parti. Ognuno parla e si confronta con i propri coetanei di generazione e ci si nega alla dialettica con chi è venuto prima e chi verrà poi.

Ci troviamo in una situazione di impasse generalizzata, che accomuna tutte le generazioni e di cui nell’articolo ho evidenziato la prospettiva ‘giovane’. Lei mi aiuta, con la sua riflessione, a spostare il cono di luce sul vissuto di quella generazione che, fino a pochi anni fa, aveva la possibilità di scegliere se rimanere nel mercato per continuare a lavorare oppure andare in pensione.

Oggi non è più possibile farlo e giovani e meno giovani si trovano tutti su un’unica barca decisamente troppo affollata, che rischia di non sostenere più il peso delle persone che trasporta. Nessun nuovo passeggero. Non ne fa salire di nuovi e non permette nemmeno a chi è salito prima di altri di scendere. La barca arranca sotto al suo peso e il rischio di affondare cresce.

L’affollamento mette a dura prova anche i rapporti tra i naviganti.

Sulla barca ci sono anche alcuni individui (e a questi mi riferisco quando parlo di “calca di persone della vecchia scuola”) che, nonostante percepiscano l’affollamento claustrofobico e possano permettersi, loro sì, di scendere, decidono di non farlo (per ragioni di ingordigia, convenienza personale, corruzione…). Una massa di persone di cui oggi troviamo esempi soprattutto in politica e a cui mi riferivo mentre scrivevo.

Il dato allarmante è che spesso, queste persone, sono le stesse che si trovano al timone dell’imbarcazione e hanno ‘in ostaggio’ l’intero equipaggio della barca: sono loro che decidono che non si scende e non si sale.

Mi affianco a lei nella speranza che il nuovo corso che questo governo sembra promettere getti a mare gli scafisti, e crei anche delle condizioni per poterci permettere imbarcazioni più grandi, guidate da nuovi timonieri.

Grazie davvero per la sua attenzione e per avermi fatto pensare.

Un cordiale saluto,

Martina Galbiati”.

Il lunedì successivo Sergio Salvi risponde ringraziandomi e aggiungendo che “Dialogo e scambio sono indispensabili, solo attraverso di essi si genera progresso”.

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